Un commando composto da ragazzi di appena 17, 18 anni ha fatto irruzione in una casa di Mosul uccidendo due sorelle, Lamia e Walàa Sobhy Salloha appartenenti alla chiesa siro-cattolica della città. Le due ragazze lavoravano per il tesoriere della municipalità di Wala. La madre, accoltellata, è stata soccorsa ed è fuori pericolo. Il padre e il fratello delle due vittime sono riusciti a fuggire dall’aggressione della banda e a rifugiarsi in un luogo sicuro. Ora la famiglia è disperata. Ma è una delle tante famiglie martoriate in una terra in cui sembra davvero impossibile condurre un’esistenza tranquilla, tanto meno se si è cristiani. Padre Bernardo Cervellera, direttore dell’agenzia giornalistica AsiaNews, conosce molto bene quella triste realtà.



Padre Cervellera, un omicidio in una zona, quella di Mosul, in cui sembra che i cristiani siano particolarmente presi di mira. Per quale motivo?

Noi di AsiaNews siamo stati i primi a dare la notizia in Italia delle due sorelle uccise, del loro padre e del loro fratello che sono riusciti a fuggire, oltre che della situazione in generale, coinvolgendo informatori locali il cui nome non è prudente qui rivelare. Direi che Mosul è un posto piuttosto disgraziato perché da anni, in questa città, si sovrappongono più conflitti legati alle più disparate cause. Quindi fornire un’analisi precisa ai fini di cercare di capire il movente di un gesto così violento e drammatico non è cosa per niente facile. Sicuramente questo duplice omicidio rappresenta anche un segnale politico in previsione delle prossime elezioni provinciali in cui contano anche le posizioni delle minoranze. Ma di certo Mosul ha la sfortuna di trovarsi al centro di moltissime tensioni.



Può spiegare quali sono le principali cause che rendono “calda” questa zona?

Anzitutto vi è la guerra condotta da Al Qaeda e dai fondamentalisti islamici delle più diverse associazioni. Mosul è un luogo dove c’è sempre stata una comunità cristiana, è anzi una delle prime e più antiche comunità cristiane. È poi una città che vede per storia e tradizione una convivenza molto forte fra cristiani e musulmani. Per questo motivo Al Qaeda l’ha scelta come un luogo dove tentare di rompere questa esemplare unità e dividere l’Irak fra cristiani, curdi e musulmani. Si aggiunga che uno degli obiettivi di questi fondamentalisti consiste nel ripristinare la piena attuazione della sharia nei confronti di tutti gli abitanti della città. Questo spiega l’elevato numero di omicidi a sfondo confessionale che si sono susseguiti in questi anni. Uno fra tutti quello del vescovo Raho. Ma non si debbono dimenticare tutti quei cristiani e quei sacerdoti ortodossi, cattolici, caldei e protestanti che hanno pagato con la vita la “colpa” di non essersi sottomessi all’islam.



Era così anche sotto il regime di Saddam?

La situazione è addirittura peggiorata, perché, da quando c’è stata l’operazione surge, del generale Petraeus, a Baghdad quasi tutti i fondamentalisti si sono rifugiati a Mosul per cui la città è diventata una specie di terra di nessuno in mano a questi terroristi senza la minima pietà.

Lei però accennava a motivi di tensione ulteriori rispetto alla sola questione religiosa

C’è un secondo aspetto della “guerra” in atto. Mosul appartiene alla zona di Kirkuk che era una zona originariamente curda. Saddam Hussein cacciò via i curdi e fece “colonizzare” gli arabi in quel territorio. Il motivo di una simile operazione risiedeva nel timore che il dittatore irakeno aveva nei confronti dei curdi e del loro indipendentismo. Adesso i curdi vorrebbero riprendersi Mosul e quindi c’è in ballo la questione della promozione di un referendum su Kirkuk, il giacimento, per stabilire a chi debba appartenere. È chiaro che per vari motivi tutte le etnie lì presenti vorrebbero possedere Kirkuk, non solo perché alcuni sono originari di quella zona, ma anche e soprattutto perché rappresenta il giacimento di petrolio più importante che ci sia in Irak nonché uno dei più importanti del mondo. Immaginiamoci l’immenso desiderio che hanno sunniti e sciiti di prenderne possesso. Chi possiede Kirkuk possiede anche il potere economico e un quasi monopolio del petrolio nazionale. I curdi spingono dunque sempre di più in direzione di un’autonomia reale, mentre sciiti e sunniti hanno paura che ciò rafforzi sempre di più il loro potere facendo perdere all’Irak una grossissima fetta di benefici economici. Qui a rimetterci di più sono proprio i cristiani.

Per quale motivo?

Per tre ordini di fattori: non hanno milizia e sono dunque più deboli, si trovano in mezzo a una guerra per motivi storici perché gran parte dei cristiani vive al nord da secoli, e in terzo luogo ciascuna delle due parti, curda e irakena, cerca di portare a casa i loro voti accusando l’un l’altro della responsabilità degli attentati di cui sono vittime i seguaci di Cristo. In poche parole l’uccisione di queste due ragazze rientra in una questione di potere locale che contempla più aspetti intersecati l’un l’altro.

Nel resto dell’Irak invece, dopo la guerra del 2003, com’è la situazione delle minoranze cristiane?

Non molto buona, basti pensare che in parlamento viene portato avanti un progetto da parte di alcuni sedicenti deputati cristiani che non lascia sperare nulla di buono. Si tratta dell’attuazione di un programma territoriale che è quello cosiddetto della “piana di Ninive”.

Secondo alcuni di questi deputati i cristiani dell’Irak dovrebbero essere tutti trasferiti nella piana circostante la città di Ninive. L’intento di questi politici sarebbe la realizzazione di una specie di “regione cuscinetto” tra curdi e sunniti. Inutile dire che questa “piana di Ninive” non la vuole nessuno fra i cristiani. I vescovi si sono dichiarati molto contrari, il Vaticano ha già condannato il progetto e inoltre sarebbe davvero un’operazione contraria alla stessa cultura e storia dell’Irak che si è sviluppato dentro una tradizione di convivenza fra popoli e mescolanza di religioni.

Non ci sono mai state zone geografiche definite da parametri “religiosi” e una sorta di ghetto cristiano sarebbe ancor più pericoloso per coloro che vi dimorerebbero dal momento in cui, se crescessero ancora, com’è probabile, ondate di fondamentalismo, è ovvio che si concentrerebbero in quella regione.

Non si può dunque dire che la condizione delle minoranze non musulmane sia migliorata di molto. La colpa è attribuibile anche alla scarsa attenzione o efficienza delle forze americane?

Saddam Hussein prima di fuggire ha liberato tutte le prigioni Irakene. Ciò significa che ci sono ancora in giro criminali, assassini e bande armate. A Mosul ci sono numerosissimi criminali che spesso rapiscono gente per questioni economiche. Gli americani si sono parecchio dati da fare per ristabilire, con Petraeus, la sicurezza nel Paese. Ma i loro sforzi si sono per lo più concentrati a Baghdad, dove ci sono le ambasciate e i centri di potere. La loro politica, dove è presente, sta dando buoni frutti, gli attentati nella capitale sono ormai davvero pochi. Il problema è il resto dell’Irak.

Quanto avvenuto a Mosul è però solo l’ultimo episodio di un atteggiamento colpevole non tanto degli americani, quanto del governo Irakeno e di Nuri Al-Maliki, il quale promise attenzione per le minoranze cristiane alla vigilia delle elezioni, ma ha di fatto lasciato indifese le loro città.