«L’America potrà finalmente cambiar pagina». La frase detta da Obama in Ohio è suonata come musica celestiale per le orecchie di Zapatero, dei membri del suo governo e dei mass media che lo sostengono. Anche loro vogliono cambiare pagina. Da quattro anni Zapatero e il suo mondo vivono una sorta di incubo dall’accento texano.



Durante l’ultima legislatura di Aznar, il grande movimento che si proponeva di scalzare dal potere il Partito Popolare e che ebbe una delle sue grandi manifestazioni nel “No alla guerra”, ha creato un’illusione: che la grande onda della Storia (necessariamente con la S maiuscola) avrebbe spazzato via i protagonisti della foto delle Azzorre che decisero l’intervento in Iraq. Dopo la grande frustrazione provocata dalla seconda vittoria di Bush, si sta per concludere il ciclo di otto anni di “oscurità” del regime mondiale imposto da uno zotico campagnolo.



Un ciclo che in Spagna sarebbe cominciato da quattro anni e mezzo con uno Zapatero che è stato il profeta di Obama. Negli ultimi quattro anni, Bush in Spagna è stato talmente caricaturizzato, in modo molto ideologico, che la destra si è trovata a difenderlo in continuazione in questioni nelle quali era indifendibile. Sembrava che parlare dell’immenso errore di aver cominciato la guerra in Iraq o sottolineare lo schematismo pericoloso di alcune scelte nella lotta contro il terrorismo corrispondesse per forza nell’identificarsi con la rivoluzione nichilista degli avversari di Bush.

La libertà dimostrata da Giovanni Paolo II negli ultimi anni della sua vita, non è stata sfortunatamente molto frequente in questo Paese. Essere contro lo zapaterismo implicava per forza appoggiare tutta la politica del presidente degli Stati Uniti. Alcuni sono arrivati persino a sottoscrivere con entusiasmo questa formula, più per un Bush ideale che per un Bush reale. Per un Bush che speravano potesse aver la capacità di cambiare il mondo.



La più che probabile vittoria di Obama si presenta come una vittoria del Governo di Zapatero, che si fa carico di guidare la Storia (sempre con la S maiuscola). Per questo conviene al Governo che la Spagna non sia invitata alla riunione di Washington in cui si studierà la riforma del sistema finanziario. Il Governo la presenta come l’ultimo atto della diplomazia cavernicola di Bush.

Assisteremo a uno sfruttamento “virtuale” della politica di Obama come un supporto alla politica di Zapatero. Il presidente del Governo della Spagna non è stato ricevuto dal Presidente degli Stati Uniti negli ultimi quattro anni. È stata la punizione per avere ritirato le truppe. Obama non ha voluto visitare la Spagna durante il suo mini-tour europeo e non sembra che abbia particolare interesse a trasformarci in uno dei suoi alleati preferiti.

Come ha rivelato Ramón Perez Maura qualche giorno fa all’ABC, Biden il vicepresidente virtuale e numero due di Obama, si è opposto a un incontro di Zapatero con l’amministrazione statunitense per le stesse ragioni date dallo staff di Bush. Ma non importa, una sola frase di Obama in uno dei dibattiti nel quale accusa McCain di non aver rivelato le sue intenzioni su Zapatero, è bastata al Governo per vendere “virtualità” a proposito dei parallelismi tra zapaterismo e obamismo. Non è ancora chiaro se questi parallelismi siano reali o finti. Il passato di Obama, i suoi flirt con il radicalismo, il “sessantottismo” di sua moglie, il modo in cui ha votato come senatore fanno pensare che possa esserci qualche vicinanza.

David Brooks, in un ottimo editoriale di alcuni giorni fa sul New York Times pronosticava che Obama, a causa della crisi, avrebbe messo in atto una politica chiaramente interventista in ambito economico. Se è così, Zapatero lo userà come scusa per giustificare l’aumento dell’interventismo che sta sviluppando per contrastare la crisi, nocivo per l’iniziativa sociale.

In un suo interessante lavoro, l’analista Tara Wall ha messo in rilievo la corrispondenza tra la politica di Bush e quella promessa da Obama. Vedremo come sarà l’Obama della sala ovale. Per la Spagna sarà decisivo vedere fino a che punto sono reali le somiglianze tra Obama e Zapatero. Ma ancora più decisivo sarà che quegli esponenti della società civile che stanno creando un’alternativa alla politica di Zapatero si dimentichino di Bush o di quello che ha rappresentato per tanto tempo in un certo immaginario: qualcuno capace di mettere un freno alla rivoluzione nichilista con la politica e le leggi.

La politica è sempre alla fine del cambiamento, non all’inizio. Per questo Zapatero non vince negli Stati Uniti se noi dimentichiamo il sogno di Bush.

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