L’ex presidente dell’Argentina Néstor Kirchner prima, e l’attuale presidente, sua moglie Cristina, poi, hanno tentato diverse statalizzazioni di imprese private durante i rispettivi mandati. Dal 2003 hanno promosso la partecipazione dello Stato in economia nazionalizzando diverse attività economiche (tra cui la telefonia, gli acquedotti e le poste, solo per citarne alcuni).
Dei giorni scorsi invece è la decisione del governo di eliminare i fondi pensionistici privati (AFJP) e di trasferire il denaro accumulato al sistema ufficiale di sicurezza sociale (Anses). Il sospetto, dilagante, che il presidente Cristina Fernández de Kirchner voglia prelevare questo denaro per far fronte alla precarie finanze statali ha provocato instabilità nei mercati finanziari del paese. Inoltre il rischio-paese, indice che riflette il prezzo dei movimenti dei titoli negoziati in divise dai mercati emergenti e che, in senso lato, è un indicatore della reputazione internazionale di un paese perché fornisce un giudizio conciso delle sue condizioni economiche, politiche e finanziarie, si è innalzato fino a 1.900 punti: è di cinque volte superiore rispetto ad un anno fa.
La magistratura sta attualmente verificando se le imprese che gestiscono pensioni private abbiano liquidato illegalmente i loro attivi quando sono stati resi noti i piani di governo. Tra le imprese indagate Consolidar del gruppo spagnolo BBVA, Orígenes del gruppo ING, Met del gruppo statunitense Met-Life e Máxima, del britannico HSBC.
Le imprese coinvolte hanno assicurato che si difenderanno in tribunale. Il portavoce della Unión di SFJP, Sebastián Palla, ha sostenuto che con la nazionalizzazione di queste imprese «sparisce il maggiore investitore istituzionale dell’Argentina. E ci saranno conseguenze gravissime».
Il presidente Cristina Fernández de Kirchner spera che il Parlamento e il Senato approvino il suo progetto prima di fine anno. In teoria parte dell’opposizione dovrebbe essere d’accordo, giacché a suo tempo rifiutò la creazione delle AFJP. Nonostante questo, il problema che oggi si pone non è tanto l’esistenza o meno del settore privato ma la sfiducia sul destino del denaro che entrerà nelle casse dello stato: 97.000 milioni di pesos (23.000 milioni di euro). Nei piani del presidente questa manovra avrebbe dovuto tranquillizzare i mercati internazionali fungendo da garanzia. Il risultato, però, è esattamente l’opposto.
L’opposizione Radicale, benché oggi di scarso peso nel Paese, ha definito il nuovo progetto di legge «azione insensata» e ha assicurato che non appoggerà la Fernández finché non verrà fatta chiarezza sulla manovra. I socialisti addirittura hanno accentuato le critiche parlando di “confisca” dei risparmi dei lavoratori. Secondo questa corrente, Fernández avrebbe bisogno di disporre rapidamente di denaro liquido per affrontare le prossime elezioni legislative. Solo il vicepresidente Julio Cobos – il politico più popolare in Argentina oggi da quando, nel luglio scorso, si è opposto a Cristina Fernández sull’aumento delle tasse agli esportatori di soia – ha appoggiato la decisione presidenziale, criticando però il sistema nazionale di previdenza (Anses), che, a suo dire, sarebbe sempre una sorta di deposito da cui attingere liberamente.
Con questa manovra si mette fine al sistema misto di pensioni private e pubbliche introdotto da Carlos Menem negli anni ’90: i lavoratori potevano scegliere se continuare a mantenere i propri versamenti nel fondo pubblico o spostarli in fondi privati senza possibilità di cambiare regime in un secondo momento.
Progressivamente il modello neoliberale latinoamericano viene smantellato e sostituito in tutto il subcontinente con forme di neostatalismo. In Argentina questa sostituzione va ancora sotto il nome di politica justicialista e partito peronista, che storicamente evocano pragmatismo. La Fernández però sembra aver dimenticato la reale crisi di fiducia che gli investitori internazionali hanno rispetto al piccolo mercato argentino e soprattutto la necessità vitale per l’Argentina di trovare interlocutori disposti a riporre fiducia nel sistema-paese.
La crisi del debito del 2001 è una ferita che ancora brucia. Qualsiasi manovra azzardata, come quella della nazionalizzazione dei fondi pensione, altro non può produrre che confusione e smarrimento tra gli investitori e i cittadini che, con gli attuali venti di crisi, vorrebbero solo aspettare che la tempesta passi.