La sentenza di un giudice di Valladolid che obbliga a togliere il crocefisso dalle aule della scuola pubblica Macías Picavea ha suscitato una curiosa divisione nel campo socialista. Mentre il ministro dell’Educazione Mercedes Cabrera vorrebbe lasciare questo tipo di decisione ai Consigli scolastici di ogni paese, il vicesegretario del Psoe Blanco e il portavoce al Congresso Alonso ritengono che questa sentenza, che non è definitiva e che riguarda solamente una scuola, sia da trasformare in una dottrina da applicare in via generale a tutto l’ambito educativo spagnolo.
La proposta di Cabrera sembra sensata e l’averla applicata al caso specifico di Valladolid avrebbe permesso ai crocifissi di rimanere nelle aule, perché la maggioranza dei genitori appoggiava la loro permanenza, ed è stato l’impegno di una minoranza laicista che ha portato il caso ai tribunali con la conclusione conosciuta.
Purtroppo c’è da temere che la dottrina unificata del Psoe sia quella incarnata da Blanco e Alonso (che ho già segnalato la scorsa settimana riguardo al caso di Madre Maravillas), e che quindi il loro partito voglia eliminare gradualmente dall’ambito pubblico tutti i simboli religiosi. I socialisti non avrebbero potuto ricevere regalo migliore di questa sentenza, che è stupefacente perché segnala la presenza del crocefisso quale violazione della libertà religiosa e attentato all’articolo 16 della Costituzione.
La questione del crocefisso nella scuola vi è stata già in altri Paesi europei e ha dato luogo a diverse soluzioni politiche e giuridiche. In Francia si è battuta la strada laicista di sopprimere i simboli religiosi nelle aule (arrivando anche a disciplinare l’abbigliamento), mentre in Italia si è riconosciuto che il crocefisso è un punto di riferimento della cultura comune su cui si basa la laicità della Repubblica, e pertanto può essere appeso nelle aule. La legge statale della Baviera va oltre e riconosce nel simbolo della croce la volontà di realizzare i valori costituzionali ispirati a quelli cristiani e occidentali. Come si vede, la gamma di soluzioni è ampia e offre spunti per un dibattito approfondito.
In un’intervista concessa nel novembre del 2004 al vaticanista Marco Politi, l’allora cardinal Ratzinger affrontava la questione spiegando che possono esistere Paesi in cui il crocefisso non esprime un riferimento o un orientamento morale comune, perché la presenza cristiana non ha segnato la sua storia. Tuttavia per gli altri, tra cui la Spagna, il crocefisso resta un punto di orientamento che può essere riconosciuto tanto dai credenti quanto dai non credenti, quale punto di riferimento essenziale del tessuto etico-culturale condiviso dalla maggioranza della società.
Più avanti il cardinal Ratzinger spiegava il significato del crocefisso: «La Croce ci parla di un Dio che si fa uomo e muore per l’uomo, che ama l’uomo e lo perdona; questa è una visione di Dio che esclude il terrorismo e le guerre di religione in nome di Dio».
Tutta la cultura occidentale (la filosofia, la politica, la scienza e il diritto) affonda le sue radici nella concezione di Dio e dell’uomo che il crocefisso rappresenta in modo supremo. È proprio questa concezione che è alla radice della laicità, che solamente ha potuto svilupparsi su questo substrato. Senza la presenza di ciò che significa e rappresenta il crocefisso, la laicità sarà un vuoto desolante come le pareti nude che vuole il Psoe di Zapatero.
Nel recente libro Dio salvi la ragione, pubblicato da Ediciones Encuentro, il filosofo ateo Gustavo Bueno spiega perché il Dio dei cristiani ha salvato la ragione umana dai suoi diversi deliri nel corso della storia dell’Occidente, e fino a che punto ha senso dire che la continuerà a salvare nel futuro, date le minacce del nichilismo, della prepotenza dello Stato o del fondamentalismo islamico.
Secondo Bueno, che non professa la morte del Dio fatto uomo sulla croce, la notizia arrivata da Valladolid può solamente significare un impoverimento delle difese della nostra già debole e complessata cultura.
La presenza della croce, come segno e bussola della grande avventura della cultura occidentale, non viola i diritti di nessuno e non provoca coercizione o diminuzione della libertà, ma offre un punto di incontro, una memoria del meglio della nostra impresa comune e un aggancio sicuro con la storia. Al contrario, la soppressione dei crocefissi a colpi di decreti o di sentenze giuridiche vuol dire impegnarsi a svuotare una società della sua sostanza, provocare una rottura traumatica ed escludere la dimensione religiosa dalla costruzione della città.
Questa sembra essere la via scelta dal socialismo spagnolo: non gli importa qual è la realtà sociale, che nella maggioranza dei casi riconosce il valore di convivenza che suppone la croce e che può risolvere in modo pacifico le divergenze che possono sorgere, ma impone una rottura e pretende di dar forma alla stessa realtà sociale secondo i suoi parametri ideologici.
D’altra parte, in quella stessa intervista il cardinal Ratzinger già aveva avvisato del fatto che sarebbe potuto accadere in futuro che un popolo perdesse la sua sostanza cristiana, così che il segno della croce smettesse di avere una rilevanza che potesse avvallare la sua presenza nell’ambito pubblico. È un saggio avvertimento, perché il processo in corso punta in questa direzione e non lo si ferma con ricorsi giudiziali né con calorosi discorsi.
È indiscutibile che la radice della Spagna è cristiana (e il crocefisso è il segno più eloquente di questo), ma questa radice non può nutrire la vita degli uomini e delle donne di questa generazione, e questo ci porta ancora una volta alla sfida di una nuova missione, di una testimonianza e di un’educazione che permettano di sperimentare nel presente la verità e il bene rappresentati dal simbolo della croce. Questa è l’unica risposta vincente di fronte a qualsiasi laicismo.