La prospettiva più temuta dai dirigenti del Partito Democratico americano sembra essere diventata realtà: il duello per la nomination democratica alla Casa Bianca tra Hillary Clinton e Barack Obama, che ha portato finora il senatore dell’Illinois a conquistare un maggior numero di Stati della rivale (e a ottenere, in assoluto, più voti: 13,6 milioni contro 12,9 milioni), verrà molto probabilmente risolto dai cosidetti “superdelegati”, vale a dire i quasi 800 dirigenti del partito che rappresentano il 20% dei delegati chiamati a decidere la nomination.
Se è vero che, come riferisce il “New York Times”, il margine di vantaggio della Clinton si è notevolmente ridotto nelle ultime settimane (finora Obama si è aggiudicato il voto di 54 superdelegati contro i 31 della Clinton), è altrettanto vero che sono 400 i superdelegati che non hanno ancora sciolto la propria riserva, ed è su questi che si stanno concentrando gli ultimi sforzi dell’ex-first lady.
I criteri che i superdelegati dovrebbero seguire per votare sono anch’essi diventati oggetto di contesa tra i due sfidanti: mentre la campagna di Obama cerca di affermare il principio secondo cui i superdelegati dovrebbero rispettare la volontà espressa dagli elettori dei rispettivi stati, i sostenitori della Clinton rivendicano per i dirigenti del partito la libertà di votare come meglio credono.
La situazione è molto delicata, e aggiunge un altro motivo di preoccupazione nello schieramento democratico, già indebolito dai ripetuti scambi di accuse tra i due candidati. Per questo molti superdelegati sperano che il partito, attraverso la mediazione di un suo membro autorevole (come il presidente Howard Dean o Al Gore), riesca a mettere le diverse parti intorno a un tavolo per arrivare a una decisione concertata che eviti il rischio di una rottura interna.