Le milizie sciite di Hezbollah abbandonano le posizioni e consegnano i quartieri di Beirut all’esercito. È una svolta rassicurante e inattesa quella si è verificata ieri nella seconda parte della giornata, dopo che il premier libanese Fouad Siniora è uscito allo scoperto e, sfidando Hezbollah e accusandolo apertamente di golpe, ha intimato all’esercito di «assumersi le sue responsabilità» e di riprendere possesso della città. Le forze armate, fino a quel momento riluttanti, hanno reagito rivendicando «il controllo della sicurezza». La reazione di Hezbollah è stata immediata: le milizie sciite hanno iniziato il ritiro dalle zone di Beirut occupate lasciando che l’esercito riprendesse il controllo dei quartieri.
Sembra così essersi avviata ad una soluzione di compromesso la crisi libanese, che negli ultimi due giorni minacciava di aggravarsi sempre più, facendo ripiombare il paese nella guerra civile. Il conflitto infatti si è rapidamente propagato da Beirut a diverse zone del paese: nel Nord, ad Halba, non lontano dal confine con la Siria, 14 persone sono rimaste uccise in una serie di scontri tra sostenitori del governo e attivisti filosiriani, mentre ad Aley, ad una ventina di km ad Est della capitale, 6 persone sono rimaste uccise in una battaglia tra milizie sciite di Hezbollah e seguaci del Partito socialista progressista (Psp) del leader druso filogovernativo Walid Jublatt.
E ancora nella notte di sabato Sidone, a sud di Beirut e Tripoli, a 90 km a nord della capitale, sono state teatro di altri scontri. Nella stessa Beirut ieri un gruppo di miliziani h fatto fuoco su un corteo funebre che stava percorrendo le vie della città, causando 6 morti e più di una trentina di feriti.
A questo punto il premier Siniora ha deciso di intervenire pubblicamente in tv: «il Paese – ha detto rivolgendosi alla nazione – non cadrà nelle mani dei golpisti», di coloro «che sanno solo attuare un colpo di Stato e l’egemonia». Poi l’ammonimento alle forze armate: «Ho chiesto al comando dell’esercito di proteggere i libanesi e preservare la pace civile senza esitazioni e ritardi, cosa che invece ancora non ha fatto». L’esercito deve «imporre la sicurezza in tutte le regioni del Paese e costringere gli uomini armati a lasciare le strade, immediatamente».
Dopo quasi un’ora di esitazione le forze militari, comandate dal generale Michel Suleiman, hanno comunicato di voler ristabilire l’ordine ottenendo l’inattesa disponibilità di Hezbollah. Il Partito di Dio, però, ha ottenuto in cambio la garanzia che la sua rete telefonica militare – il cui smantellamento, annunciato dal governo, aveva scatenato l’ira del leader Nasrallah e l’immediato scatenarsi delle ostilità – sarà gestita in modo che «non danneggi la resistenza (Hezbollah) o gli interessi pubblici» e nello stesso tempo il Comando militare ha fatto sapere che il capo della sicurezza all’aeroporto di Beirut, che il governo aveva voluto rimuovere perché definito vicino a Hezbollah, rimarrà al suo posto «fino a quando non sarà stata provata la sua colpevolezza»: alta concessione importante a Hezbollah.
Dopo giornate di estrema tensione, in cui il paese è sembrato ritornare sull’orlo del caos, una soluzione di compromesso – che comunque coincide con la cessazione delle ostilità e la ripresa del controllo da parte del governo – pare raggiunta. Al prezzo tragico di una quarantina di vittime.