La libertà religiosa è in primo piano nel dibattito politico spagnolo. La vicepresidente De la Vega ha annunciato al Congresso limitazioni sul suo esercizio e ne ha fatto un confronto con i diritti umani. Nel Partito Popolare accettano l’importante emendamento di Vidal Quadras e Eugenio Nasarre. Una correzione che, oltre a difendere il patto con il Partito Socialista Obrero Espanol per mantenere il modello territoriale, afferma che il pluralismo è una conseguenza della libertà religiosa. Un contesto difficile in cui il compito dei credenti, che non possono essere sostituiti da nessun partito, è far vedere l’“amicizia” tra la libertà di coscienza e i diritti fondamentali.
De la Vega si è rivolta al Tribunale Costituzionale. Ma non si è preoccupata molto di citare qualche sentenza a sostegno del confronto, da lei fatto, tra la libertà religiosa e i diritti umani. È il substrato idelogico che anima la riforma religiosa del Governo. Il vecchio pensiero che dal XVII e XVIII secolo ha inteso le fede come una minaccia, in quanto i diritti umani sarebbero astratti e staccati da qualunque tradizione religiosa. Ma se si tratta di tutelarli, non serve un cambiamento della Legge Organica 7/1980, del 5 luglio, perché l’articolo 3 già stabilisce chiaramente che la libertà si esercita con il “limite” di tali diritti.
Non c’è, di fatto, nulla di pacifico in questioni come quella della vita. È sbagliato sostenere che la decisione di negare le cure mediche sia in contrasto con la libertà religiosa. E senza dubbio la sentenza 154/2002 del 18 luglio sul caso di alcuni testimoni di Geova che negarono una trasfusione ai propri figli è una garanzia per chi vi fa ricorso. In realtà, l’obiettivo non è regolare questi casi dubbi, ma, come ha detto la stessa De la Vega, limitare le espressioni religiose negli ambiti pubblici. Potremmo essere di fronte a una situazione come quella descritta da Benedetto XVI nel suo intervento all’Assemblea delle Nazioni Unite: «Non dovrebbe mai essere necessario rinnegare Dio per poter godere dei propri diritti. I diritti collegati con la religione sono quanto mai bisognosi di essere protetti se vengono considerati in conflitto con l’ideologia secolare prevalente».
Il dibattito su questa materia è molto aperto nei due congressi, in quello del Psoe che si terrà a luglio e in quello che si tiene questo fine settimana del Pp. Fra i socialisti, il gruppo guidato da Alvaro Cuesta, autore del manifesto in cui si afferma che i «fondamentalismi monoteisti o religiosi sembrano “frontiere” tra i cittadini», ha presentato un insieme di emendamenti che sembrano risalire all’epoca del terrore francese o dei momenti più scuri della Seconda Repubblica. Ma il lavoro di Cuesta, in un Psoe dove la corrente dei cristiani socialisti dell’attuale deputato Carlos Martinez de Gorriaran è rimasta marginale, è funzionale ai propositi di Zapatero. Quante più “lotte” ci saranno nel partito, tanto più apparentemente legittimato sarà l’esecutivo nei suoi propositi laicisti.
Per questo ha particolare importanza che sia stato ammesso l’emendamento che hanno presentato, tra gli altri, Vidal Quadras e Eugenio Nasarre alla dichiarazione politica del Congresso del Pp. L’emendamento è conosciuto per difendere una riforma della Costituzione, pattuita tra Psoe e Pp per far fronte all’offensiva nazionalista. Ma ci sono altri aspetti decisivi, come l’inclusione del termine “sussidiarietà” per definire le relazioni tra lo Stato e la società, la riflessione sull’origine della nazione spagnola e una valorizzazione dell’apporto della tradizione cristiana che non sono abituali nei testi programmatici del centrodestra spagnolo. È decisivo che si parli, come fa il testo, di libertà religiosa quale fonte di pluralismo democratico. Ci sono massimalisti che sostengono che tutto è uguale: la deriva secolarista del Pp di Rajoy non avrebbe soluzioni e, in fondo, Vidal Quadras e Nasarre starebbero preparando solo una “difesa”. Si vedrà con il tempo la sua efficacia. Dipenderà da chi continua a sostenere che il principale partito di opposizione segue un percorso autenticamente plurale. In ogni caso, in politica fuggire non serve a nulla. Quello che resta scritto nei testi non è garanzia di nulla per il futuro, ma può servire per continuare a lavorare. Del resto il lavoro che dovranno fare i credenti – e che non farà nessun partito politico – in futuro passa da una difesa della libertà religiosa giuridica e, soprattutto, culturale e sociale. Una posizione che fosse solo “contro” è funzionale al potere. Più che mai è necessaria la creatività che risponde all’ideologia con i fatti. Questo obiettivo positivo è quello che il Papa ha utilizzato alle Nazioni Unite: «L’affidare in maniera esclusiva ai singoli Stati, con le loro leggi ed istituzioni, la responsabilità ultima di venire incontro alle aspirazioni di persone, comunità e popoli interi può talvolta avere delle conseguenze che escludono la possibilità di un ordine sociale rispettoso della dignità e dei diritti della persona». E dopo ha indicato: «Una visione della vita saldamente ancorata alla dimensione religiosa può aiutare a conseguire tali fini, dato che il riconoscimento del valore trascendente di ogni uomo e ogni donna favorisce la conversione del cuore, che poi porta ad un impegno a resistere alla violenza, al terrorismo ed alla guerra e a promuovere la giustizia e la pace».
È il vedere un contributo effettivo alla democrazia, attraverso le opere, ciò che rompe la stretta soffocante di coloro che hanno paura della libertà.