Nei giorni scorsi, è stato presentato il nuovo libro di Padre Bernardo Cervellera, missionario del Pontificio istituto Missioni Estere (PIME) nonché direttore del sito www.asianews.it. Il volume si intitola “la Cina e le Olimpiadi: l’altra faccia delle medaglie”, ed ha chiaramente l’intento di far conoscere ad un pubblico più vasto possibile quali siano i reali scenari che si celano dietro le luccicanti scenografie messe in scena dal regime comunista cinese a due mesi dall’inizio della ventinovesima edizione dei giochi olimpici della storia moderna.
È necessario portare alla luce due differenti aspetti, entrambi legati all’invadenza assoluta dello stato cinese nelle vite personali dei privati cittadini: uno riguarda cosa ha comportato l’organizzazione delle Olimpiadi per milioni di cinesi; mentre l’altro è connesso alla sempre doverosa sollecitazione nei confronti di noi “comodi” occidentali su come vengano quotidianamente calpestati (e non solo in Tibet) i diritti civili nella nazione più popolosa del mondo. Relativamente al primo punto, Padre Cervellera ci racconta di come i grandi cantieri allestiti per i giochi e per le costruzioni ad essi correlate (come infrastrutture o ricettività turistica), abbiano significato una moltitudine di case demolite per molte migliaia di pechinesi che, ovviamente, non hanno potuto fare altro che accettare i “rimborsi” che lo stato ha assegnato loro. Rimborsi che però non sono sufficienti per comprare una nuova casa, nemmeno a decine di chilometri da Pechino. Per chi non lo sapesse, va ricordato che in Cina la proprietà della terra è solo dello Stato. E lo stato, ovviamente, ne può disporre a proprio piacimento. In Cina si può comprare un palazzo, ma non la terra su cui è costruito: quella resta allo Stato che incassa un affitto. In Cina si può costruire una Chiesa, ma dentro quella chiesa non si potrà mai propagandare liberamente alcuna religione, perché tutte le religioni sono sottoposte ad un rigido controllo statale. Per questo, capitalismo e libertà religiosa in Cina restano mere finzioni.
Il Direttore di Asia News ha denunciato che «chi cerca di opporsi agli espropri difendendo i contadini o le persone meno abbienti, sostenendone le cause legali per ottenere giusti risarcimenti, o chi si oppone agli aborti forzati, o chi difende gli operai sfruttati viene arrestato e punito con anni di prigione, come succede a diversi Vescovi cattolici». Perciò il regime ha voluto dare il più ampio e visibile spazio ai giochi, cercando tramite questi di mostrare al mondo soltanto la “faccia pulita” della Cina: ma allo scopo sono stati demoliti interi quartieri storici della capitale, causando un vero dissesto urbanistico. Inoltre, alti e lunghissimi muri bianchi sono stati appositamente costruiti per impedire agli occhi dei visitatori esteri la visione dei rimanenti sobborghi, dove la speculazione edilizia non è ancora arrivata e regnano ancora miseria ed abbandono. E la situazione delle grandi città come Pechino è destinata a peggiorare, in quanto milioni di migranti stanno fuggendo dalle campagne dell’interno per cercare fortuna sia nella capitale che nei ricchi agglomerati industriali della costa. La richiesta di manodopera non manca: i cantieri edili lavorano 24 ore su 24, ma i contadini riciclatisi in fretta come muratori ricevono compensi da fame a fronte di orari di lavoro massacranti, niente assistenza sanitaria, previdenziale o infortunistica. La maggior parte non ha nemmeno un tetto sotto il quale dormire, e perciò vengono ammassati a decine dai costruttori edili in fatiscenti baracche.
Va ricordato che la Cina è il Paese dove ogni anno si contano 130.000 morti sul lavoro. Considerando che queste sono cifre ufficiali fornite dal governo centrale, si può presumere che il numero sia da aumentare di almeno cinque o sei volte. Tutto ciò provoca una gravissima sperequazione sociale: ricchi sempre più ricchi (oltre 200 milioni di cinesi sono ormai assestati su livelli di reddito parificabili a quelli di magnati occidentali) e poveri sempre più poveri (oltre 350 milioni sono al di sotto del basico livello di sussistenza). Dice Padre Cervellera: «Ai nuovi ricchi nulla interessa delle fasce sociali più deboli. La cultura derivata dal confucianesimo prima, dal marxismo e dal capitalismo poi hanno prodotto nella società cinese un’aridità spirituale in cui l’individuo non conta. Si vale semplicemente per il ruolo che si ha, la persona non ha rilevanza; importante è l’appartenenza o la protezione di clan o di partito, e lo Stato con la sua struttura verticistica a cui si deve sempre e comunque rispondere». Ed è più che noto il fatto che la struttura verticistica statale cinese sia un agglomerato di corruzione che può vantare eguali in pochi altri stati del mondo. Il più recente esempio si è avuto in seguito al grave terremoto che ha colpito la regione del Sichuan: quasi settemila scuole, costruite da pochissimi anni, si sono sbriciolate sollevando parecchi dubbi sui criteri edili coi quali avrebbero dovuto essere costruite e sulla corruzione dei funzionari statali da parte dei costruttori che ha portato alla violazione di tali criteri.
Padre Cervellera ci segnala poi che nemmeno le Olimpiadi sono riuscite nell’intento di far riflettere la Cina sulle sue sistematiche violazioni delle più elementari libertà e diritti umani; ed anzi, alla stampa locale è stato distribuito un decalogo di tematiche che non dovranno essere in alcun modo trattate durante i giochi, mentre non tutto il Paese sarà aperto alla libera circolazione di atleti, giornalisti e turisti esteri. Il Bocog (Comitato organizzatore dei giochi) in questo “vademecum” ha inserito delle imposizioni (a loro modo di vedere, “raccomandazioni”) anche per coloro che visiteranno la Cina durante le Olimpiadi. A prima vista possono quasi sembrare assurdità, ma se lette nel contesto di uno stato che da decenni vessa la sua popolazione lasciandola isolata dal resto del mondo, debbono farci riflettere sul serio con chi abbiamo a che fare (e commerciare) quotidianamente. Queste sono alcune “perle”, facilmente estrapolabili dal sito internet del Bocog:
– E’ vietato portare qualunque oggetto o documento che possa danneggiare la politica, l’economia, la cultura e le basi morali della Cina (questo include materiale stampato, negativi di fotografie, fotografie, dischi, film, registrazioni su cassetta, videocassette e dvd).
– Tutte le dimostrazioni pubbliche, le marce e le proteste che siano nei siti olimpici o altrove sono del tutto vietati durante i Giochi a meno di essere approvate in precedenza dalla Polizia.
– Non sarà possibile portare materiale di tipo religioso che possa disturbare l’ordine pubblico negli impianti olimpici.
– Divieto di dormire all’aria aperta.
– Le persone con “gravi problemi mentali” o malattie contagiose non saranno ammesse nel Paese.
– Alcune regioni del Paese, tra cui il Tibet, sono chiuse ai visitatori.
-Verranno banditi i trafficanti di droga, coloro che si dedicano alla sovversione, che hanno malattie mentali o veneree o che sono dediti alla prostituzione.
Il Comitato ricorda che gli stranieri devono sempre portare con sé il passaporto e registrarsi tassativamente alla polizia entro 24-72 ore dall’arrivo.
Inoltre, è doveroso ricordare che nemmeno durante le Olimpiadi verrà allentato il blocco che le autorità cinesi da anni impongono a Internet. Malgrado il Comitato Organizzatore dei Giochi Olimpici avesse assicurato assoluta libertà ai media durante l’evento sportivo, il ministro della tecnologia, Wan Gan, ha dichiarato che l’accesso ad Internet resterà limitato «per salvaguardare i giovani, come succede in tutti i Paesi».
Del resto stiamo parlando dello stesso governo che, in seguito alle feroci repressioni attuate contro i monaci tibetani manifestanti per la loro indipendenza (almeno religiosa, come chiede il Dalai Lama), ha dato il via ad una guerra mediatica senza quartiere per contrastare la cattiva pubblicità che riceveva dalle manifestazioni anti-Cina susseguitesi lungo il percorso della torcia olimpica. Il Dipartimento della propaganda ha inviato una circolare a editori di giornali e televisioni di Stato per spingerli a mettere in atto una «feroce guerra mediatica contro la manipolata stampa occidentale». Così ci è toccato leggere dei tibetani che «umiliano lo spirito olimpico», e coloro che cercano di ostacolare la corsa della torcia erano definite «persone blasfeme, che si oppongono ai popoli del mondo amanti della pace». Per i giornali cinesi i responsabili di tutte le manifestazioni non erano altro che «una manciata di tibetani, che contro tutto e contro tutti cercano di pubblicizzare l’idea dell’indipendenza del Tibet, facendo uno sforzo inutile, stupido, e che produrrà il contrario di ciò che desiderano». Ed appaiate ad articoli sulle cose positive prodotte dalla Cina in Tibet (sviluppo economico, piena libertà religiosa, progresso…) erano collocate delle serie di fotografie con didascalie entusiastiche di tibetani felici e contenti. Guardacaso, però, la Cina ad oggi non permette visite indipendenti di giornalisti, diplomatici, organizzazioni internazionali in Tibet e nelle regioni dove sono scoppiate le rivolte nei mesi scorsi.
Così nessuno (o pochi) potrà sapere che in Tibet sono attivi almeno 24 campi Laogai dove i Tibetani vengono detenuti, costretti al lavoro forzato e spesso uccisi. Il termine Laogai è l’acronimo cinese di Laodong Gaizao Dui, che significa letteralmente «riforma attraverso il lavoro». Questi campi di concentramento, spesso mascherati come fabbriche o impresa commerciale, furono istituiti nel 1950 da Mao Zedong, il quale sosteneva che era necessario rinchiudere gli oppositori al fine di lavare loro il cervello e trovare forza lavoro a costo zero. Ufficialmente oggi vi sono in tutto il territorio della Repubblica Popolare Cinese oltre mille Laogai.
In Europa fingiamo di non saperlo, ma un terzo del tè cinese, la gran parte delle suole di gomma, delle luminarie di Natale ed altri milioni di manufatti vengono prodotti da migliaia di schiavi di Stato. E noi paghiamo la loro schiavitù. E come non accennare alla vergognosa tratta degli organi che vengono estirpati dai corpi dei condannati a morte nei campi di lavoro? Si tratta di un orrendo mercato, legale secondo le leggi cinesi, che di anno in anno vede aumentare le condanne a morte in base all’aumento delle richieste di organi da trapiantare che provengono non solo da chi in Cina può permettersi l’operazione di trapianto, ma anche dall’estero. Ad oggi si stima che il numero dei condannati a morte si aggiri tra gli 8.000 e i 10.000 all’anno, ed il business correlato al mercato degli organi viene valutato intorno ai 770 milioni di Euro. Il mercato degli organi è talmente florido che i dirigenti cinesi stanno cambiando anche le modalità di esecuzione capitale: mediante una particolare iniezione letale, si evita di compromettere alcun organo. Nel 2006 le stesse autorità cinesi hanno riconosciuto che il 95 per cento degli organi utilizzati per i 13mila trapianti di quell’anno arrivavano dalle esecuzioni capitali.
Ma la Cina è molto altro: un Paese dove l’inquinamento nelle città è a livelli decine di volte superiori alla media occidentale, tanto è vero che qualche atleta ha chiesto di spostare persino alcune competizioni dei giochi olimpici lontano da Pechino. La Cina è il Paese che lo scorso anno ha aumentato le spese militari del 20% senza che nessun governo occidentale abbia minacciato un embargo o una qualche misura di protesta.
La Cina è il paese della legge sul controllo delle nascite. Una legge che è il simbolo dell’aberrazione perché toglie a donne e famiglie il diritto naturale alla procreazione. In Cina per mettere al mondo un bimbo bisogna ottenere il permesso dello Stato, e quel diritto si esaurisce dopo il primo figlio. Per imporre questo sistema, lo Stato spinge all’aborto milioni di donne, ne condanna altrettante alla sterilizzazione e nega il diritto alla vita a milioni di bambini. Non credo esista nulla di simile sulla faccia della terra. Però, alle coppie che hanno perso un figlio nella regione del Sichuan gravemente colpita dal terremoto, il Governo ha permesso una deroga alla legge del figlio unico: che esempio di lodevole umanità!
Concludendo, credo sia inutile parlare ora di “boicottaggio” delle Olimpiadi. I Giochi Olimpici, da sempre simbolo di pace e solidarietà fra gli uomini, semplicemente non avrebbero dovuto essere assegnati alla Cina. Ora è troppo tardi per recriminare. Sono stati gli interessi finanziari delle multinazionali e del regime comunista cinese a permettere questo paradosso. Il regime cinese non ha mantenuto nessuna delle promesse fatte a riguardo del miglioramento dei diritti umani nel Paese: i Laogai, le migliaia di esecuzioni capitali con relative vendite degli organi umani, le centinaia di migliaia di aborti forzati e sterilizzazioni, la persecuzione di tutte le chiese e dei dissidenti sono alcune delle violazioni dei diritti umani perpetrate dal regime comunista cinese e di cui i mass media parlano ancora troppo poco, forse per non disturbare i tanti interessi commerciali che legano la Cina con l’occidente.
Purtroppo, e non è una novità, viviamo in un mondo dove gli interessi finanziari ed economici sono predominanti sul valore della vita umana. Spero soltanto che gli atleti mettano in atto una silenziosa forma di protesta, che mi auguro sia utile affinché non cali il silenzio sulle atrocità che quotidianamente affliggono il popolo cinese: chi vince una medaglia, sul podio si rifiuti di mettersela al collo.



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