Nessuna novità eclatante dal vertice del G8 in corso in Giappone. Molte dichiarazioni e propositi, poca sostanza. I punti essenziali della dichiarazione finale coinvolgono evidentemente i cambiamenti climatici e il futuro dell’Africa. Nel primo caso, si è convenuto di dimezzare le emissioni di gas serra entro il 2050, con un impegno collettivo che era già stato avanzato nel corso della Conferenza di Bali sul clima e che sarà formalizzato nel prossimo vertice di Copenhagen, previsto per la fine del 2009. Un accordo a metà, sia nella forma che nella sostanza. Nella forma, poiché ad ascoltare molte organizzazioni non governative e di advocacy, per il 2050 il mondo potrebbe già essere imploso. Nella sostanza perché la formula non ha trovato l’adesione dei due principali inquinatori, Cina e India. In effetti è difficile uscire dal cul de sac del surriscaldamento globale. È impossibile impedire a Pechino e Nuova Delhi di crescere a suon di energie e, quindi, di inquinamento. Non è credibile la posizione del mondo già industrializzato, che da un lato è responsabile dei livelli di inquinamento finora raggiunti, dall’altro fa poco o nulla per iniziare a modellare un sistema di fonti alternative e di risparmio energetico.
È pur vero che, rispetto al passato recente, va quanto meno salutata con spirito positivo la prima, vera dichiarazione da parte degli Stati Uniti che, dopo aver rinnegato l’accordo di Kyoto e aver quasi disertato la Conferenza di Bali, è oggi parte di questo intento di lungo periodo deciso in Giappone.
Analoghe considerazioni valgono per l’Africa, per la quale il Segretario Generale dell’ONU, Ban Ki Moon, non ha potuto che rinnovare l’invito a rispettare le dichiarazioni fatte a Gleanagles poco più di un anno fa. L’impegno a creare un fondo di solidarietà internazionale, che ancora una volta i grandi della Terra hanno deciso di promuovere ma che ancora non hanno realizzato.
Poco altro da segnalare. Ma le circostanze non sono certo favorevoli. Con una presidenza americana in scadenza, un presidente russo appena insediato, Cina e India che si sentono con le mani libere per il fatto di essere osservatori al forum, non ci si poteva attendere più di tanto.
È il caso di interrogarsi, quindi, sulla efficacia del G8, o meglio sulla sua attuale configurazione. Portare dentro le economie emergenti – o, meglio, già emerse – come Cina, India, Brasile, Nigeria o Sud Africa, significherebbe sicuramente riconoscere la perdita di un primato per le economie borderline (Italia e Giappone in particolare), ma anche finalmente vincolare quei governi alle loro responsabilità di un governo globale dei processi.
La prossima volta toccherà all’Italia, che dovrebbe iniziare a ragionare proprio su questo dilemma: abdicare ad uno status, ammettendo la veemente ascesa delle nuove economie, pur di vincolarne le politiche? Oppure mantenere le posizioni e serrare i ranghi, anticipando così un ulteriore fallimento?
Non si tratta di trovare la bacchetta magica. Ma di ragionare sugli assi della nuova geopolitica, evidenziando i punti di forza e di debolezza del nostro sistema.