Chi sta vincendo nella corsa alla Casa Bianca? La domanda viene posta sempre più spesso in giro per il mondo, a tre mesi e mezzo dall’attesissimo voto del 4 novembre per le Presidenziali americane, a pochi giorni da un tour in Europa e Medio Oriente che metterà Barack Obama sotto i riflettori e a poche settimane dalle grandi Conventions del partito Democratico e del partito Repubblicano, che lanceranno la volata finale di Obama e del suo avversario John McCain.
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La risposta si può dare a tre diversi livelli. Il più semplice è quello che si basa sui sondaggi, e il verdetto è unanime: se negli Usa si votasse oggi, vincerebbe Obama. Il secondo livello, un po’ più sofisticato, tiene conto dell’andamento della campagna negli stati-chiave del voto, quelli che fanno la differenza a novembre. Ma anche in questo caso, la risposta è la stessa: il senatore dell’Illinois è in testa. C’e’ infine un terzo livello, quello del realismo, della prudenza e degli insegnamenti della Storia, ed è in quest’area che risiedono le speranze migliori per McCain: è ancora presto per considerare chiusa la sfida e ci sono una miriade di fattori da tenere in considerazione, prima che gli americani si rechino alle urne.
Partiamo dagli scenari del primo livello, quello dei sondaggi. Obama è in testa di 6 punti (45-39%) secondo l’ultima rilevazione di New YorkTimes/CbsNews. I punti sono 7 per Reuters/Zogby, salgono fino a 9 per la Quinnipiac University e scendono a 3 nel sondaggio AbcNews/Washington Post (49-46), a 2 per la Gallup (46-44) e a un solo punto per l’istituto Rasmussen (47-46). La media tracciata da Real Clear Politics, il cui sito è la mecca degli appassionati di politica americana, è un vantaggio di Obama di 4,2 punti. Niente di clamoroso, a dire il vero. Anzi. In termini statistici, considerando i margini d’errore, è una sostanziale parità e molti analisti si aspettavano una fuga assai più consistente di Obama nelle ultime settimane, visto che il senatore nero domina sui media da quando ha vinto la sfida con Hillary Clinton. Resta però un dato di fatto: Obama è in testa da tempo su McCain in modo consistente e senza cedimenti nei sondaggi nazionali.
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Ma il voto popolare in America conta poco o niente. Per il sistema elettorale americano, a contare sono i singoli stati e il contributo che ognuno di essi porta, in termini di cosiddetti “voti elettorali”. Anche in questo caso, però, le notizie per il senatore repubblicano non sono buone. Il 4 novembre vincerà chi avrà collezionato almeno 270 voti elettorali e attualmente, secondo le stime di Real Clear Politics, Obama ne avrebbe 255 e McCain 163, con altri 120 voti elettorali ancora da assegnare. Guardando ai singoli stati, non ci sono buone notizie per il partito del presidente George W. Bush. I repubblicani puntano a strappare ai democratici alcuni stati vinti da quest’ultimi nel 2004, ma per esempio in Pennsylvania Obama è avanti di 7 punti, in Michigan di 7,2, in Wisconsin di 11,2 e in Minnesota di 12.
Se si guardano gli stati vinti in passato dai repubblicani e che Obama tenta di conquistare, il vantaggio di McCain appare assai meno solido di quello del rivale. McCain è avanti solo dello 0,7% in Virginia, del 3,8 in North Carolina, del 3,6 in Colorado e dello 0,5 in Indiana, mentre in Nevada è già testa a testa.
Non va molto meglio, al senatore dell’Arizona, l’analisi dei sondaggi negli stati incerti, quelli che negli ultimi anni hanno deciso il voto. In Ohio, lo stato che quattro anni fa diede a Bush la vittoria decisiva contro John Kerry, Obama è avanti di 4,5 punti. In Florida, da sempre uno stato-chiave, il vantaggio di McCain è ridotto al 2,2%.
Le buone notizie per Obama però finiscono qui. E comincia il terzo scenario di cui tener conto. McCain ha dato segnali evidenti di ripresa nelle ultime settimane, mentre il senatore dell’Illinois non ha mostrato l’accelerazione che ci si aspettava da un candidato che gode di un enorme copertura mediatica e di un ampio vantaggio finanziario sull’avversario. Gli americani tendono in gran parte a “sintonizzarsi” tardi sul voto e la storia insegna che molto spesso vantaggi accumulati in estate sono evaporati in autunno. Obama fino a ora ha evitato ogni offerta dell’avversario di affrontare un dibattito faccia a faccia, ma presto dovrà rassegnarsi ai confronti televisivi, che in passato sono risultati devastanti per vari aspiranti presidenti. Le capacità oratorie e il look del giovane democratico potrebbero avvantaggiarlo sul 72enne McCain, ma la sua mancanza di esperienza potrebbe anche rivelarsi fatale.
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C’e’ poi un fattore che lo staff di Obama non ama discutere, ma che è reale. Ed è il fattore razziale. Molta gente nei sondaggi si dice pronta a scegliere il primo presidente nero nella storia, ma poi al momento del voto potrebbe comportarsi in altro modo. Fin dalle primarie in New Hampshire dello scorso gennaio, vinte da Hillary Clinton contro ogni pronostico, il fenomeno è apparso reale e consistente.
Tra i mille altri fattori da tenere in considerazione, ci sono quelli dello scenario internazionale. Una qualsiasi crisi seria che si apra nei prossimi mesi nel mondo, per esempio un attacco di Israele all’Iran, spingerebbe gli americani a mettere in discussione l’opportunità di dare il comando a un 46enne senza esperienza. Ed effetti di vario genere possono ancora avere sulle elezioni la crisi energetica globale, l’andamento delle operazioni militari in Iraq e Afghanistan o una qualche ripresa della minaccia del terrorismo islamico.
Se Obama sta quindi innegabilmente vincendo in questa fase della corsa, è ragionevole ripetere che non ha ancora vinto. E che la gara è lunga e piena di imprevisti.
(Pietro Sordi)
(Foto: Imagoeconomica)