Dopo tredici anni di latitanza è stato arrestato, nei pressi di Belgrado, il ricercato numero uno per i crimini nella ex Jugoslavia. Radovan Karadzic, psichiatra e uomo politico noto come “il boia” era stato presidente della autoproclamata Repubblica Srpska, l’enclave dei serbi di Bosnia. Da capo dell’esercito aveva ordinato vari massacri, incitando alla pulizia etnica in tutta l’area. L’evento più tristemente celebre è quello di Srebrenica, nel quale anche i Caschi blu dell’Onu furono costretti a indietreggiare di fronte alla inaudita barbarie.
Dopo la morte di Slobodan Milosevic in carcere, il Tribunale Penale Internazionale torna protagonista nella ricerca e nella cattura dei criminali di guerra. Grazie al lavoro dell’Interpol e al supporto – esterno – degli Stati Uniti, attraverso la Nato, un altro boia dei Balcani verrà messo alla sbarra e, ci auguriamo, condannato per crimini di guerra.
L’arresto di Karadzic apre due scenari geopolitici concomitanti. Da un lato, esso ha un impatto sullo sdoganamento del limbo balcanico, ancora diviso tra ferite storico-cultural-politiche difficili da rimarginare e la volontà di essere spazio politico integrato nell’Unione Europea. Per adesso solo la Slovenia è parte dell’UE, Paese che solo marginalmente è stato toccato dalla guerra civile alle nostre porte. Ma i processi di pre-adesione sono in campo per la Croazia e potrebbero aprirsi anche per la Serbia, il Montenegro e la Macedonia.
Una nemesi storica che serve senza dubbio a lavare le macchie di tragedie immani e a sdoganare anche le nuove leadership politiche serbe. Ma l’atteggiamento internazionale – ed europeo soprattutto – verso i Balcani rimane troppo ambiguo: non si può frettolosamente riconoscere il Kosovo indipendente e poi – correttamente – investire più di un decennio per acclarare le verità e la giustizia storica, assicurare i criminali alla legge internazionale e mettere sotto la lente d’ingrandimento fatti e personaggi di una delle parentesi più buie della storia recente, quella guerra dei Balcani che conserva, tutt’oggi, i tratti di una banalità del Male assoluto.
Il secondo punto geopolitico riguarda la lenta – troppo lenta – affermazione di una universalità delle previsioni di legge, delle garanzie e quindi della definizione dei crimini. Pur non avendo mai gli Usa riconosciuto la giurisdizione del Tribunale Penale Internazionale, essi si sono spesi molto per la cattura di Karadzic e si spenderanno ancora di più per quella del generale Ratko Mladic, l’unico carnefice di Srebrenica ancora latitante chi sa dove.
Così come la messa in stato d’accusa, benché ancora virtuale, del dittatore sudanese per il genocidio in Darfur, sono segnali di una possibile vitalità del diritto internazionale che può convergere – moralmente, oltre che operativamente – verso l’affermazione di un’architettura universale dei diritti.