La luce che in Europa ha illuminato Barack Obama come una rock star della politica ha avuto in America un effetto diverso: è stata troppa, al punto che ora il candidato democratico alle presidenziali esce un po’ “sovresposto” dal suo viaggio europeo.
«Non ha importanza, dovevo farlo», ha detto da Londra (ultima tappa del suo viaggio) Obama, «era necessario consultarsi con loro» sulle principali questioni sul tappeto.
Anche il suo avversario repubblicano John McCain lo ha esplicitamente criticato, accusandolo di essere presuntuoso. Obama ha così risposto: «Sinceramente non capisco i motivi della polemica. È nell’interesse dell’America che chiunque sia il prossimo presidente abbia forti relazioni con i nostri alleati all’estero. Tant’è vero che anche il senatore McCain prima mi aveva raccomandato un viaggio all’ estero, poi è andato in Canada, in Colombia, in Messico, dove ha tenuto discorsi come ho fatto io».
Tuttavia sul piano meramente elettorale agli americani alle prese con mutui e caro prezzi non è piaciuta più di tanto la figura del candidato-presidente che saluta Berlino come se fosse John Kennedy o che abbraccia Sarkozy, Gordon Brown e Tony Blair come se già fosse un Capo di Stato, quando invece è un semplice “nominee” di partito.
In ogni caso Obama prevede già un calo dei consensi nei sondaggi, ma ne attribuisce la causa alla sua assenza dagli States per una settimana.
Una settimana che lo ha visto protagonista soprattutto a Berlino dove nel suo unico discorso pubblico è stato acclamato da una folla di 200.000 persone. Un discorso in cui il candidato democratico si è detto pronto a ridurre, in caso di vittoria, il numero dei soldati americani in Afghanistan, al cui posto dovrebbero subentrare gli europei, permettendo a Washington di spendere meno per spedizioni militari all’estero e usare i fondi così liberati a favore dei ceti medi e bassi più
colpiti dalla crisi finanziaria innescata dal mercato immobiliare americano.
Più di ogni altra cosa, infatti, il viaggio di Obama era necessario per la politica estera, per mettere a punto con gli alleati la futura posizione di un’eventuale “amministrazione Obama” su temi come Iraq, Afghanistan, Iran. È l’Afghanistan per Obama il nodo più urgente: lo ha ribadito ad Angela Merkel, a Nicolas Sarkozy e a Gordon Brown. Ai quali ha anticipato che, se verrà eletto presidente, bisognerà rivedere le regole d’ingaggio per le truppe Nato impegnate in quella guerra. E se gli Stati Uniti sono pronti a inviare laggiù due brigate aggiuntive, gli alleati europei – ha avvertito – dovranno essere pronti a far combattere i loro soldati. Diverso il caso dell’Iraq: entro 16 mesi le truppe americane dovranno essere tornate a casa. Quanto all’Iran, resta una minaccia. Ma per Obama è la diplomazia la via principale da seguire.



Esperto di tematiche americane

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