Ore 11:40 del 12 agosto. Mentre questo articolo viene redatto il presidente Medvedev impartisce l’ordine di sospendere l’offensiva contro la Georgia. Si tratta della prima buona notizia da venerdì 8 agosto, data in cui è cominciata questa nuova guerra, non del tutto inaspettata. Una notizia che, per lo meno, elimina provvisoriamente alcuni scenari catastrofici che si stavano delineando in modo sempre più angoscioso. Ma, d’altra parte, la situazione è proprio così grave? Non si tratta di uno dei tanti conflitti caucasici dei quali possono interessarsi solo i professionisti dell’informazione? In che modo questa guerra può cambiare la vita di coloro che, in questo momento, sono preoccupati soprattutto di non aver trovato la rivista sportiva dal giornalaio? Come sempre occorre fare qualche passo indietro nella storia recente.

Sui quotidiani, in questi giorni, sono stati pubblicati ampi resoconti in merito ai problemi della Georgia, alla disintegrazione dell’Unione Sovietica e su un certo revanscismo russo. Cose non ignote e che solo gli attentati dell’11 settembre e la successiva Global War on Terrorism hanno fatto passare in secondo piano. In realtà la Russia di Putin, che in questi ultimi anni ha iniziato un vasto programma di riarmo, non ha mai accettato una serie ininterrotta di sconfitte diplomatiche. La guerra del Kossovo nel 1999; l’affondamento (dalle cause mai chiarite) del sottomarino Kursk nell’agosto del 2000; le rivoluzioni soft in Ucraina e in Georgia nel 2003; e infine, la perdita di ogni controllo sulla Serbia, ormai destinata, dopo la cattura di Radovan Karadzic a entrare prima nella NATO e poi nell’Unione Europea. È significativo, inoltre, come diversi paesi del defunto Patto di Varsavia abbiano iniziato a collaborare prima militarmente (ad esempio la Polonia e la Romania) e, successivamente, siano entrati far parte dell’Unione Europea. In definitiva, la Russia ha conosciuto, negli ultimi dieci anni, un forte sviluppo economico, dovuto al controllo delle fonti di energia, ma ha subito serie debacles politiche. Negli ultimi mesi Putin ha dichiarato di volere condurre una strategia a tutto campo: una forte intesa con la Cina, l’ipotesi di costituire una base operativa a Cuba come risposta al progetto di scudo anti missile in Europa, e una sempre più stretta alleanza con l’Iran, sia per opporsi diplomaticamente a un attacco israeliano-americano, sia con la fornitura di sistemi d’arma antiaerei.

Neppure le tensioni in Georgia sono una novità. Nel 2001 lo scrittore Tom Clancy (quello di Caccia a ottobre rosso tanto per intenderci) aveva pubblicato un fortunato videogioco di simulazione intitolato Ghost Recon ed è interessante leggerne le note introduttive: “Europa 2008 (sic!) Il mondo vacilla sull’orlo della guerra. Alcuni ultranazionalisti radicali hanno preso il potere a Mosca. Il loro obiettivo è quello di ristabilire il vecchio impero sovietico, riportare, una a una, le vicine repubbliche indipendenti, Ucraina, Bielorussia, Kazakhstan, nell’orbita russa”. I protagonisti del gioco sono alcuni soldati americani dislocati in Georgia.

Clancy è sempre stato molto ben informato e, caso strano, il 29 aprile 2002 il dipartimento della Difesa statunitense annunciava l’inizio del Georgia Train and Equipment program (GTEP) all’interno di una più vasta strategia antiterrorismo. All’inizio si trattava solo di 150 militari americani, ma il programma di ammodernamento e addestramento delle forze armate georgiane è proseguito fino ad oggi e non è strano che, nei commenti finora espressi, non si faccia cenno alla possibilità di uno scontro diretto fra reparti russi e americani. Questo tenendo presente che il sito globalsecurity.com riportava, nei giorni scorsi, la notizia di esercitazioni militari iniziate il 14 luglio scorso, alle quali hanno partecipato 1200 militari americani e 800 georgiani nella base militare di Vaziani, vicino a Tbilisi. Negli stessi giorni anche i russi conducevano manovre al confine con l’Ossezia del nord ma il portavoce del Ministero della difesa russo smentiva che tali esercitazioni avessero un qualsiasi rapporto con quelle statunitensi. Si trattava probabilmente di manovre dissuasive che non hanno impedito lo scoppio del conflitto.

Forse l’unico dato certo è il mistero che circonda e continuerà a circondare cifre e notizie. La prima vittima della guerra è la verità e il conflitto in corso non fa eccezioni. Si pensi solo a come è giunta la notizia di bombardamenti a tappeto e di 1.400 morti, proprio nel giorno delle inaugurazioni delle Olimpiadi. Varrebbe la pena rivedere i dispacci dell’agenzia Novosti nei giorni scorsi. Il 7 agosto (h. 10:20) l’agenzia riferiva che il governo della Sud Ossezia temeva un’invasione da parte della Georgia. Lo stesso giorno alle h. 17:11 si dava notizia di bombardamenti georgiani che avevano causato sei morti e 15 feriti fra i sud Osseti e che il ministro degli Esteri georgiano aveva chiesto colloqui con il governo di Mosca. In mezza giornata i morti erano divenuti, secondo il governo russo, 1.400 e 30.000 gli sfollati su una popolazione di 70.000 anime. Già Andrea Nativi, su IlGiornale di ieri, aveva espresso dubbi su queste cifre che risultano funzionali a una tesi ben determinata. A una “pulizia etnica” si risponde con un “intervento umanitario”, se necessario bombardando anche la capitale del paese che sta praticando il “genocidio”. Ogni riferimento al Kossovo e agli scriteriati bombardamenti del 1999 da parte della NATO non è casuale e fa leva sulla coscienza, (abbastanza sporca) dell’Occidente che attuò una guerra a cuor leggero, purché fosse a zero morti (per i militari occidentali). Ed è questa cattiva coscienza che rende così deboli e affannate le risposte dei capi di governo europei mentre il presidente Bush ha sempre più l’aria di un pensionato in vacanza e i due candidati, Obama e McCain, non hanno alcuna voce in capitolo. Il problema della democrazia americana è questo: che ogni tanto si blocca per le elezioni presidenziali e da aquila imperiale diventa un’anatra seduta. Gli alleati europei, abituati a contare sul potente e bellicoso alleato americano (al quale non risparmiano critiche pesantissime, tanto a combattere sul serio ci pensano i violenti “marines”) devono contare solo su loro stessi e non hanno la forza morale, politica o militare per opporsi alla violenza. Tutto questo mentre, proprio dal Caucaso, passa l’energia che permette un benessere al quale siamo così abituati da non ammettere nemmeno l’ipotesi di una rinuncia o di una profonda e duratura crisi economica.

Come si è detto, le operazioni belliche sono state fermate poche ore fa e c’è da sperare che cessino del tutto. Anche perché un allargamento del conflitto è possibile quanto prevedibile. Ucraina e Pesi Baltici hanno dichiarato la propria solidarietà alla Georgia e il presidente dell’Ossezia meridionale ha dato notizia della presenza di “mercenari di diverse nazionalità”. Un’affermazione ripresa dall’inviato russo Dmitry Medoyev, secondo il quale, tra i morti, vi sarebbero anche due militari di pelle scura. Un’ipotesi, aggiunge Medoyev, ancora da verificare e che potrebbe essere smentita ma che, in ogni caso, suona come un avvertimento a chi ha orecchie per intendere.