Mosca ha annunciato ufficialmente l’inizio del ritiro delle proprie truppe dalla Georgia, ma Tbilisi lo nega e la accusa di continuare a distruggere le sue infrastrutture, violando così «gravemente» l’accordo di pace.
Nonostante i toni concilianti usati per la prima volta dal presidente georgiano Mikhail Saakashvili, il leader del Cremino Dmitri Medvedev ha alzato i toni dello scontro con Tbilisi e anche con Kiev.
È giallo invece sui missili tattici russi SS-21 nella regione secessionista georgiana dell’Ossezia del sud: il Pentagono dice di avere le prove del loro dispiegamento, Mosca smentisce.
Sul fronte diplomatico continua la pressione occidentale sulla Russia per un ritiro rapido, mentre l’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) si è riunita oggi a Vienna per dare disco verde all’aumento degli osservatori, ma ha trovato la strada ostacolata dalle obiezioni russe sulla necessità di definire prima i loro Paesi d’origine, la sede del loro dispiegamento e il loro preciso mandato.



Quello russo ha tutta l’aria di un ritiro in surplace da gara olimpica: lo stesso gen. Anatoli Nogovitsin, vice capo dello stato maggiore russo, ha ammesso di non essere in grado di indicare la data di fine operazione («posso dire per certo solo quando sarà Capodanno») e ammonito che comunque le truppe si attesteranno dietro il confine. Come del resto le navi della flotta russa del Mar Nero, che continueranno a presidiare le acque di frontiera con la Georgia.
Tbilisi continua ad accusare le forze russe di controllare ancora parte del proprio territorio, dal nodo strategico di Gori a Senaki, dove avrebbero fatto esplodere altri depositi di munizioni, e Igoieti, a 30 km dalla capitale, dove tank russi avrebbero forzato un posto di polizia georgiano distruggendo due veicoli delle forze dell’ordine.
Medvedev ha promesso una «reazione devastante» a chi si permetterà di attentare ai suoi cittadini. Poi, decorando 28 soldati, ha assicurato che la Russia «farà di tutto perché non resti impunito» il crimine commesso in Ossezia del sud da «mostri politici, pronti a uccidere, a compensare la propria mediocrità con lo sterminio di un tutto un popolo». Il presidente russo ha respinto inoltre le interferenze di Kiev per le restrizioni alla flotta russa del Mar Nero: «Che non ci indichino come dobbiamo comportarci, noi agiremo in accordo con gli accordi internazionali e gli ordini che io ho preso come comandante supremo in capo».
Intanto il presidente dell’Ossezia del sud Eduard Kokoity ha annunciato l’intenzione di chiedere la presenza di una base russa, ribadendo la sua contrarietà ad osservatori internazionali. Adesso però ha altri grattacapi: in nottata ha licenziato tutto il suo governo accusandolo di essersi appropriato degli aiuti umanitari russi proprio mentre continuano a tornare gli sfollati e ha proclamato lo stato di emergenza. La regione gemella separatista dell’Abkhazia, invece, ha revocato lo stato di guerra.



La diplomazia occidentale continua il suo pressing per un rapido ritiro russo: dall’ormai quotidiano monito di Washington al presidente francese Nicolas Sarkozy e al ministro degli esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier, secondo cui Mosca ha «oltrepassato i limiti» in Georgia. La Svezia invece è passata alle vie di fatto, congelando le sue relazioni militari con Mosca.
Oggi altro round tra Russia e Occidente, con la riunione dell’Alleanza Atlantica sulla Georgia: Mosca ha già minacciato ripercussioni sul consiglio Russia-Nato nel caso che l’Alleanza Atlantica nella sua riunione straordinaria di domani prenda le difese di Tbilisi.

(Foto: Imagoeconomica)

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