Ministro Frattini, gli ultimi avvenimenti dello scenario internazionale possono evocare in qualche modo le tensioni della guerra fredda. In quegli anni la condizione per la pace era l’equilibrio del terrore, il congelamento ideologico e militare delle condizioni di scenario. Oggi, nel mondo delle minacce e delle opportunità globali, da cosa passa la pace?



La pace passa dalla capacità di comprensione reciproca. Anche nei rapporti internazionali, dove spesso ci si rifiuta di comprendersi e di ascoltarsi reciprocamente. L’allontanamento di ogni conflitto può venire soltanto dal dialogo. Questa è la ricetta per affrontare ogni situazione di crisi.

L’Italia sta assumendo un ruolo importante a favore della pace e dello sviluppo. In Libano, come nei Balcani o in Afghanistan, il ruolo italiano è ormai riconosciuto. Tuttavia risorgono continue difficoltà di valutazione politica, derivanti spesso da prese di posizione ideologiche. Si può creare unanimità di vedute sul nostro ruolo in politica estera?



Credo che l’unanimità politica possa derivare dalla capacità dell’opposizione di collaborare con il governo. L’azione di politica estera è nell’interesse del paese, non in quello della maggioranza di turno. Spesso purtroppo assistiamo a opposizioni pregiudiziali, rispetto ad azioni di politica estera che invece tutto il mondo apprezza. Quando l’attuale centrodestra era all’opposizione, non ha esitato a sostenere la missione in Libano proposta da Prodi, ritenendo che fosse un’azione nell’interesse del Paese. Purtroppo non vediamo un’analoga iniziativa e disponibilità da parte dell’attuale opposizione di sinistra. Mi auguro che questo possa cambiare a partire dalle prossime settimane, quando illustrerò al Parlamento le linee di politica estera.



Vuole anticiparne i punti principali?

Vogliamo proporci per ospitare a Roma, in autunno, una conferenza di riconciliazione per il Caucaso. Quello che sta accadendo in Georgia ci fa dire che l’Italia è un paese apprezzato sia dalla Russia che dalla Georgia. Io stesso mi recherò in quei paesi nei prossimi giorni. Trovo naturale che l’Italia si candidi ad un ruolo di riflessione, di riconciliazione e di stabilità tra le parti. Tenteremo di giocare la nostra partita, come abbiamo sempre fatto, per il Mediterraneo e per il Medio Oriente. La pace tra palestinesi e israeliani, poi, è certamente un altro obiettivo fondamentale, così come la stabilità del Libano e il dialogo tra Israele e Libano e tra Israele e Siria.

L’Europa è ormai uno spazio consolidato di pace, prosperità e benessere. Tuttavia non riusciamo a superare l’impressione di un ruolo debole dell’Europa. L’Italia ha una salda vocazione europeista; ma quale Europa vogliamo?

Dovremo avere una politica estera finalmente europea. La crisi georgiana ne ha messo allo scoperto tutte le difficoltà. Ci sono paesi dell’Ue che sarebbero più propensi ad un contrasto forte con la Federazione Russa, altri, come Italia, Francia e Germania preferiscono una posizione più equilibrata. La verità è che non abbiamo una politica estera che possa dirsi “la politica dell’Europa”, ma stiamo conquistando, passo dopo passo, un orientamento politico. Basti pensare che vi sono paesi europei che ancora non hanno riconosciuto l’indipendenza del Kosovo, e che hanno detto che non la riconosceranno mai. Non è, purtroppo, un elemento di secondo piano. L’Europa è debole quando non esprime una politica comune; il nostro obiettivo è certamente fare tutto il possibile per superare questo stallo politico e favorire un’identità di vedute e di intenti.

Con le prossime elezioni americane, potrebbe aprirsi un nuovo capitolo negli assetti geopolitici globali, anche se la sfida più rilevante rimane quella della lotta al terrorismo di matrice integralista. Come sostenere il ruolo di aiuto alla pace e alla stabilità che possono avere i paesi arabi moderati? Il progetto di una lega delle democrazie, che aiuti o sostituisca l’Onu, potrebbe rappresentare un’opportunità o una minaccia per i Paesi arabi in transizione?

Noi abbiamo sostenuto e sosteniamo un progetto delle Nazioni unite che si chiama proprio “Comunità delle democrazie”. Non vuole certo prendere il posto dell’Onu, ma incoraggiare la diffusione dei valori di libertà e democrazia, e la modernizzazione delle istituzioni anche nei paesi arabi musulmani. Qui occorre però fare attenzione. I paesi musulmani rifiutano un progetto predefinito, costruito a Bruxelles, o a Roma o a Washington. Rifiutano, in altre parole, l’imposizione di un modello di democrazia. È quello che dirò chiaramente a Rimini: dobbiamo parlare con la Lega araba di modernizzazione e non di esportazione di modelli istituzionali – a maggior ragione se elaborati altrove.

Ministro, lei è ospite di un’edizione del Meeting dal titolo “O protagonisti o nessuno”. Che cosa le suggerisce?

Io vi vedo una riaffermazione del grande valore della persona. Se l’uomo vuole giocare una sua partita, cambiare il mondo, non può accodarsi a scelte fatte da altri, agire da protagonista, portando se stesso nella scena in modo intelligente e responsabile. Vale per ogni persona, ma anche, in grande, per le istituzioni, come l’Unione Europea.