Eccellenza, lei testimonia Cristo in un luogo, l’Arabia Saudita, che dalla comunità islamica è considerata terra interamente consacrata al profeta Maometto e quindi totalmente inibita alla presenza dei cristiani. In che modo un cristiano può essere protagonista in tali condizioni?
Quando anch’io mi pongo questa domanda ripenso sempre a come si comportò san Francesco: egli testimoniò con le opere. Sono profondamente convinto del fatto che i numerosi segni che provengono da una vita cristiana vissuta autenticamente non passino inosservati. Vi faccio un esempio: un anno e mezzo fa, durante un ricevimento in un paese islamico, ho incontrato un ambasciatore musulmano che mi disse: “ora che ho di fronte un vescovo in carne e ossa posso finalmente porgli una domanda che ho in mente da tempo: quando avviene una catastrofe nel mondo perché sono sempre i cristiani a essere i primi a muoversi per aiutare gli altri?”. E io gli ho risposto: “il virus ce lo ha passato il fondatore della nostra religione”. Non aggiunsi altro, ma dopo un po’ egli mi confidò che non era l’unico, bensì erano in moltissimi musulmani a porsi la stessa domanda nei nostri confronti. Noi cristiani abbiamo sicuramente i nostri vizi, siamo peccatori come e più di tutti gli altri, ma abbiamo la grande forza della testimonianza, soprattutto quando inconsapevolmente passa dai nostri gesti. Io, commentando il titolo del Meeting in relazione alla mia posizione e a quella dei cristiani nei paesi a maggioranza musulmana dire che essendo nessuno siamo i protagonisti e forse è proprio questo tentativo di umiltà a suscitare l’attenzione di chi ci osserva.
Come giudica nel periodo attuale lo stato dei rapporti fra cristiani e musulmani?
Questa è una domanda alla quale è davvero difficilissimo rispondere, perché è un rapporto che cambia sottilmente da Stato a Stato. Come per quanto accaduto recentemente in India dobbiamo distinguere territorio, popolazione e cultura che si trova ad aver a che fare con la presenza dei cristiani. In Arabia ci sono stati diversi episodi di violenza inflitta alla popolazione cristiana in passato, ma attualmente il fenomeno si sta attenuando. Più che altro da noi i cristiani non rappresentano una forma di potere potenzialmente pericoloso per lo Stato. Non hanno potere economico, non hanno potere politico e, chiaramente non creano una massa socialmente rilevante. Diverso è il caso per le tensioni che scoppiano in Egitto, ad esempio, dove i cattolici e i copti rientrano fra le classi sociali più abbienti. In Libano si può fare un discorso simile. Comunque ripeto che è meglio esaminare caso per caso quali siano le ragioni che suscitano attriti fra le diverse religioni o culture. Spesso è facile fare delle analogie, ma a ben vedere anche nella stessa Italia, senza andare a parlare per forza dell’Arabia Saudita, abbiamo l’esempio di numerose forze che non sono per nulla amichevoli nei confronti della Chiesa e della cristianità.
Come vive personalmente gli spiacevoli episodi di violenza contro i suo correligionari?
Esamino sempre quale debba essere la mia reazione in virtù del mio ruolo di vescovo, oltre, chiaramente, a provare un grande dolore. Reagire nel modo cristiano è il punto decisivo in quanto da quel punto nasce la premessa per non rispondere allo stesso modo in cui si viene offesi. Magari i politici si sentono in grado di reagire con violenza alla violenza. Io, da vescovo cristiano, non posso certo fare così. Il metodo cristiano deve consistere nella creazione di una fiducia reciproca fra un popolo e l’altro.
Più in generale come sono visti gli occidentali dal punto di vista del mondo islamico?
Anche qui nel rispondere occorre procedere con cautela. Ad esempio esiste nel mondo islamico un’elite culturale che conosce bene le differenze fra i ruoli pubblici dei maggiorenti occidentali. Ma spesso accade che, proprio per come i musulmani concepiscono l’indissolubile unione fra religione e istituzioni, nella mentalità comune si faccia fatica a distinguere un rappresentante politico da uno religioso. Alcuni riconoscono nel presidente di una repubblica europea, o comunque occidentale, anche un’autorità cristiana. Si capisce come mai spesso ci siano dei fraintendimenti in merito a leggi promulgate e fraintese come invasioni nella sfera religiosa. O viceversa.
A questo proposito: sappiamo che, dopo il discorso di Sua Santità Benedetto XVI a Ratisbona, molti musulmani hanno reagito negativamente, anche se c’è stata qualche voce fuori dal coro. Come viene attualmente considerato il Papa nel mondo islamico?
Ci sono ancora adesso molte ripercussioni, sia in senso negativo sia in senso paradossalmente positivo. Una certa sfiducia nel Papa rimane diffusa in molte aree dell’islam, soprattutto rispetto al rapporto che il precedente pontefice aveva stabilito col mondo musulmano. Ma sono fortemente convinto, e spesso ne ho le prove nei riscontri culturali, che il discorso di Ratisbona sia stato utilissimo per rafforzare il dialogo interreligioso e renderlo più realistico. Si è avuta una sorta di approfondimento del dialogo stesso, che difficilmente si sarebbe verificato se non ci fosse stato quell’episodio. Ho l’impressione che il precedente clima si basasse, su un rapporto di indefinita tolleranza reciproca e sulla base di valori vagamente buonisti. Benedetto XVI ha la forza di dire chiaramente le cose senza guardare a sinistra o a destra. E io credo che questo atteggiamento sia giusto. Una maggior coscienza reciproca non può prescindere dall’affermazione forte delle identità. Inoltre i passi seguenti che il Pontefice ha fatto in direzione dell’Islam, dopo Ratisbona, sono stati segnali particolarmente significativi.