Rajani Majhi, 21 anni, due giorni fa è arsa viva mentre cercava di salvare gli ospiti di un orfanotrofio della missione di Bargarh nello stato dell’Orissa, in India. Nella stessa regione lo stesso giorno anche un uomo è bruciato vivo, a Kandhamal e una suora è anch’essa morta carbonizzata dopo essere stata stuprata nel Centro sociale di Bubaneshwar. In tre giorni di agguati sono già 11 le
vittime e 25 le chiese distrutte. Ma anche il mese scorso nella stessa regione è stato distrutto un orfanotrofio ed una parrocchia è stata saccheggiata.
Purtroppo non si tratta di episodi isolati, ancora una volta siamo di fronte ad attacchi contro le comunità cristiane, gli ennesimi episodi di una persecuzione che sembra non avere fine. Lo scorso 26 giugno in Pakistan Saba e Anila Younas, cristiane, sono state rapite da un gruppo di musulmani, costrette a convertirsi all’islam e obbligate a sposarsi. Potremmo continuare a raccontare episodi
simili che hanno come vittime dei peggiori soprusi cittadini di religione cristiana. Sono infatti all’ordine del giorno ormai in tutto il mondo episodi del genere, fatti che sembrano essere la prova di come essere (e vivere) da cristiani sia oggi scandalo per chi cristiano non è, e vergogna per chi non ha più interesse a esserlo. Siamo di fronte ad un fenomeno di portata inimmaginabile che sembra passare sempre più inosservato.
Benedetto XVI ha condannato “con fermezza ogni attacco alla vita umana, la cui sacralità esige il rispetto di tutti”, ha espresso solidarietà per i cristiani vittime delle violenze nell’Orissa e rivolgendosi “ai leader religiosi e alle autorità civili” dell’India, li invita a “lavorare insieme per ristabilire tra i membri delle varie comunità la convivenza pacifica e l’armonia che sono state
segno distintivo della società indiana”.
Partendo dalle parole di pace del Santo Padre ho rivolto un appello, insieme a Vannino Chiti, Vicepresidente del Senato e a Maurizio Lupi, Vicepresidente della Camera, al Premier Monmohan Sing “perché il suo grande paese possa adoperare tutte le risorse per bloccare questa inaudita violenza che se non adeguatamente combattuta, non potrà che minare l’immagine positiva dell’India e le sue relazioni con il nostro paese”.
Va inoltre sottolineato il ruolo centrale che può e deve avere l’Unione europea nel sollecitare i Governi dei paesi in cui si verificano questi fatti, affinché i responsabili, che molto spesso non vengono nemmeno perseguiti, siano assicurati alla giustizia e affinché le minoranze religiose vengano salvaguardate. Perchè i paesi siano interessati a far sì che il loro ordinamento giuridico e costituzionale offra garanzie adeguate ed effettive per quanto riguarda la libertà di religione o di credo, nonché vie di ricorso per le vittime in caso di violazione di questa libertà. Solo facendo in modo che la promozione dei nostri ideali di libertà e giustizia diventi sempre più il marchio dell’Unione europea, potremo contrastare chi si rifugia nell’ideologia per il suo progetto di potere. Si dice sempre che l’Europa per aumentare la propria influenza debba agire unita. In questa materia sembra che questa unità sia stata trovata come dimostrano le diverse Risoluzioni che il Parlamento
europeo ha approvato pressoché all’unanimità. È il momento di assumerci le nostre responsabilità e di dare un seguito a queste Risoluzioni, che prevedono ad esempio la realizzazione di incontri multilaterali per proporre soluzioni immediate di salvaguardia, o la richiesta di un impegno strategico degli Stati in questione sulla base delle convenzioni internazionali sui diritti umani, che
detto in breve significa che l’Europa deve prendere per mano questi stati e portarli nella direzione dei diritti umani dimostrandone la convenienza.
Anche il Governo italiano può essere protagonista, auspichiamo che sollevi la questione già a partire dal Consiglio straordinario previsto per i primi giorni del mese di settembre.
Non dimentichiamo che la violazione della libertà religiosa non riguarda solo i cristiani ma tutti, dai buddisti agli induisti, dal Falun Gong fino ai musulmani. In questo contesto è molto importante capire in che cosa si gioca la nostra battaglia odierna.
Battaglia di cui siamo parte, nel modo che ci è consono. In un modo che non è furore ideologico scagliato per volere il male di altri, ma è il tentativo paziente e composto di costruire attraverso politiche concrete il futuro delle nuove generazioni. Dobbiamo agire nella consapevolezza che la violazione dei diritti alla vita e alla libertà religiosa nel mondo rappresenta la cartina di tornasole di quanto veramente le istituzioni internazionali abbiano a cuore la democrazia e i diritti. Siamo quindi di fronte ad un dramma che interessa tutta la comunità internazionale. E il bagaglio di valori di democrazia e libertà che la storia ha consegnato all’Europa ci danno una responsabilità enorme.
È proprio il cristianesimo che ha generato la coscienza e i diritti della persona.
Consentire la sua repressione può portare unicamente a un passo indietro di tutta la civiltà mondiale. E la mancata difesa da parte dell’Europa della principale libertà dell’uomo mette a rischio il nostro stesso futuro, ma ciò non deve sorprenderci.
Nel secolo scorso il più grande gulag della terra si trovava nell’Europa comunista e solo la figura di Papa Giovanni Paolo II è riuscita a sconfiggerlo, ricordando che la libertà religiosa è la libertà tout court. Ribelliamoci ad un’Europa che assiste inerme al sacrificio dei suoi figli. Questo non vuole
essere un invito al fondamentalismo cristiano, perché affermare questo valore vuol dire abbracciare la libertà di chi è perseguitato per amore di ciò in cui crede, sia esso cristiano, ebreo o musulmano.