Negli ultimi sei giorni di questa seconda ondata di violenza di massa dopo il Natale 2007, circa venti cristiani, uomini e donne, sono stati brutalmente uccisi in un clima che ricorda da vicino il massacro dei sikh a Delhi e in altre zone nel 1984, e quello dei musulmani nel 1993 a Mumbai e nel 2002 nel Gujarat.
Sono state stuprate suore, centinaia di pastori, preti e attivisti religiosi sono stati feriti. Oltre quaranta chiese sono state distrutte, molte per la seconda volta, oltre alle centinaia e centinaia di case ancora una volta bruciate nelle città, nei villaggi e nelle foreste. I cristiani sono stati braccati come animali.
Nella ricostruzione fatta dalle chiese locali non ci sono dubbi su chi sia stato a perpetrare simili violenze.
La responsabilità ricade sul Sangh Parivar, e sugli elementi che lo compongono, il Rashtriya Swayamsewak Sangh, il Vishwa Hindu Parishad (VHP), il Bajrang Dal e il Vanvasi Kalyan Sangh, e in particolare su gruppi legati agli ashram dell’ex vicepresidente Lakshmanananda Saraswati, appartenente al VHP.
I leader del VHP, tra cui Praveen Togadia, hanno apertamente invocato la pulizia etnica, mentre altri hanno dichiarato che non smetteranno di versare sangue finché non avranno liberato l’Orissa dai cristiani.
La polizia ha fatto finta di non vedere per mesi. Spesso si è resa complice delle violenze e non è mai intervenuta per salvare gli sventurati cristiani e le loro istituzioni. Al contrario, l’apparato di funzionari, vertici della polizia e burocrati ha ripetuto passivamente le menzogne del Hindutva Sangh Parivar e la sua stretta definizione di nazionalismo religioso per addossare ai cristiani la colpa delle tensioni.
“Se il Primo ministro (dello Stato dell’Orissa) e il suo governo hanno perduto il loro diritto di governare, anche il Chief Secretary, il segretario di Stato e il direttore generale della Polizia non hanno più il diritto di restare in servizio attivo. È una vergogna che restino in carica ed è una prova evidente della cospirazione messa in atto dal governo (locale), dal partito di coalizione Bharatiya Janata e dall’apparato di Stato contro la comunità cristiana e la fede cristiana”. Hanno proclamato a gran voce al Governatore dell’Orissa i cristiani di Delhi.
L’apparato di Stato ha sbagliato tre volte: non tutelando i cristiani nel dicembre 2007, non proteggendo l’ex leader del VHP né dipanando il mistero del suo assassinio, e infine non evitando ancora una volta ai cristiani lo sterminio nell’agosto 2008.
Per questo è necessario che il presidente dell’India imponga la legge presidenziale in Orissa, assumendo così le redini del governo in modo da ripristinare la pace a Kandhamal e in altri distretti. Urge la sospensione immediata dal servizio non di singoli agenti e giovani funzionari, ma del Chief Secretary, il segretario di Stato e il direttore generale della Polizia per grande negligenza nello svolgimento delle proprie funzioni e per aver aderito alla cospirazione volta a spazzare via i cristiani dall’Orissa.
Il controllo del distretto di Kandhamal va affidato all’esercito indiano, unico in grado di ridare fiducia alle vittime.
Il Presidente deve darsi da fare per ritrovare le numerose persone, alcune delle quali probabilmente morte o ferite, di cui è stata denunciata la scomparsa negli ultimi sei giorni; per far tornare nelle proprie case le decine di migliaia di cristiani tribali e dalit che si nascondono nelle foreste, molti dei quali senza cibo e acqua potabile.
Deve affidare ogni indagine relativa alle circostanze e agli sviluppi delle violenze al Central Bureau of Investigations (CBI). Il CBI deve anche indagare sull’omicidio del leader del VHP Lakshmanananda Saraswati.
Deve ampliare i poteri dell’attuale commissione giudiziaria guidata dal giudice Basudeo Panigrahi per stabilire responsabilità e colpevolezza di politici e funzionari governativi di ogni grado.
Garantire risarcimenti esemplari ai parenti prossimi delle vittime e ai feriti. Garantire assistenza e riabilitazione immediata alle vittime, in modo che possano al più presto ricostruire le proprie case, riottenere il lavoro e riprendere la loro vita normale, risarcire la Chiesa affinché possa ricostruire e ristrutturare le sue istituzioni religiose, educative e umanitarie.
Importantissima sarà infine l’istituzione di tribunali che seguano procedimenti accelerati nel giudicare i colpevoli a ogni livello durante tutte le fasi della violenza.
Solo questi gesti dimostreranno al mondo intero che l’India continua a essere un Paese laico, in grado di offrire garanzie costituzionali che tutelano il diritto alla vita, alla libertà e al perseguimento della felicità, la libertà di fede ai propri cittadini e, per quanto riguarda i bambini, il diritto al cibo, all’educazione e a godere di un’infanzia non traumatizzata dal clima di terrore e dalla paura della morte.
Non dimentichiamo che la violazione della libertà religiosa non riguarda solo i cristiani ma tutti, dai buddisti agli induisti, dal Falun Gong fino ai musulmani. In questo contesto è molto importante capire in che cosa si gioca la nostra battaglia odierna.
Battaglia di cui siamo parte, nel modo che ci è consono. In un modo che non è furore ideologico scagliato per volere il male di altri, ma è il tentativo paziente e composto di costruire attraverso politiche concrete il futuro delle nuove generazioni. Dobbiamo agire nella consapevolezza che la violazione dei diritti alla vita e alla libertà religiosa nel mondo rappresenta la cartina di tornasole di quanto veramente le istituzioni internazionali abbiano a cuore la democrazia e i diritti. Siamo quindi di fronte ad un dramma che interessa tutta la comunità internazionale. E il bagaglio di valori di democrazia e libertà che la storia ha consegnato all’Europa ci danno una responsabilità enorme.
È proprio il cristianesimo che ha generato la coscienza e i diritti della persona.
Consentire la sua repressione può portare unicamente a un passo indietro di tutta la civiltà mondiale. E la mancata difesa da parte dell’Europa della principale libertà dell’uomo mette a rischio il nostro stesso futuro, ma ciò non deve sorprenderci.
Nel secolo scorso il più grande gulag della terra si trovava nell’Europa comunista e solo la figura di Papa Giovanni Paolo II è riuscita a sconfiggerlo, ricordando che la libertà religiosa è la libertà tout court. Ribelliamoci ad un’Europa che assiste inerme al sacrificio dei cristiani. Questo non vuole essere un invito al fondamentalismo cristiano, perché affermare questo valore vuol dire abbracciare la libertà di chi è perseguitato per amore di ciò in cui crede, sia esso cristiano, ebreo o musulmano.