Il presidente venezuelano Hugo Chávez si è dichiarato nuovamente sostenitore del suo alleato, il presidente boliviano Evo Morales che in questo momento sta affrontando violente proteste popolari contro il suo progetto indigenista per una nuova configurazione territoriale e costituzionale della Bolivia. Diverse le situazioni di crisi che, concluse in battaglie tra gruppi oppositori di destra e i sostenitori del governo, hanno causato otto morti e sono sfociate nell’espulsione dell’ambasciatore americano Philip Goldberg, accusato di appoggiare l’opposizione.
Chávez quindi ha preso la palla al balzo per sostenere che, in un’azione solidaristica col popolo boliviano, l’ambasciatore degli Stati Uniti a Caracas, Patrick Duddy, aveva 72 ore per abbandonare il territorio venezuelano.
Gli analisti non dubitano che Goldberg stia appoggiando espressamente la ribellione dei dipartimenti orientali della Bolivia che si oppongono dal 2006 a Morales e che la sua espulsione è stata decretata in stretto accordo con Chávez.
Lo scontento di Morales per l’ambasciatore Goldberg non è nuovo ma si è approfondito con l’incontro tra il diplomatico statunitense e Rubén Costas, governatore di Santa Cruz, ossia del dipartimento considerato oppositore per eccellenza.
Le relazioni tra gli Stati Uniti la Bolivia sono tese da più di due anni, ma si sono ulteriormente appesantite negli ultimi mesi. A giugno, nella località di El Alto, vicino a La Paz, è stata attaccata l’ambasciata nordamericana, così come l’agenzia di cooperazione degli Stati Uniti USAID è stata cacciata da Cochabamba perché definita un “agente dell’imperialismo” colpevole di “destabilizzare il governo”.
L’espulsione di un ambasciatore degli Stati Uniti ha pochi precedenti nella regione.
Cacciarne due è già una dichiarazione di guerra diplomatica.
Non a caso il governo di George W. Bush, la cui politica consiste nell’ignorare l’operato del presidente venezuelano, ha reagito con violenza inaspettata.
L’accrescersi della tensione tra i governi di Washington e di Caracas può essere interpretato in diversi modi tra cui la costruzione di un progetto continentale e antimperialista del presidente venezuelano: Chávez starebbe definendo i governi che conformano la sua rete di influenza.
Dal punto di vista della politica estera venezuelana, l’espulsione dell’ambasciatore e la conseguente crisi diplomatica servirebbero a due obiettivi importanti: da un lato per sviare l’attenzione sui finanziamenti illegali che il governo venezuelano sta inviando in tutta l’America Latina per sostenere paesi in difficoltà e farsi sostenere. Tale questione è altamente controversa e ha messo in discussione l’appoggio a Chávez. Dall’altro lato, la crisi permetterebbe al caudillo venezuelano di proporsi come martire nelle elezioni del 23 novembre, nelle quali si gioca parte del suo potere: Chávez avrebbe infatti denunciato un complotto contro di lui.
É stato proprio nel mezzo della denuncia sulla possibile cospirazione che Chávez avrebbe dichiarato di essere disposto ad intervenire militarmente in Bolivia in Paraguay se avverranno in quei paesi colpi di stato di destra. «Se l’oligarchia e gli yankees finanziati e armati dall’impero faranno cadere qualsiasi nostro governo, non avremo problemi ad iniziare operazioni di qualsiasi tipo per restituire il potere al popolo in questi paesi fratelli», ha detto, dopo aver evocato la figura mitica di Ernesto “Che” Guevara che da sola sa ripescare consensi.
La politica estera di Chávez cerca oggi di promuovere un mondo multipolare. Essa parte dalla premessa che esiste un avversario chiamato Stati Uniti e, in questo senso, Chávez è il benvenuto laddove Washington è percepito come un aggressivo potere imperiale.
Con il crescente peggioramento delle relazioni tra le potenze occidentali e Mosca, a causa della guerra in Georgia, per Caracas è un momento unico per approfondire le relazioni con un Cremlino impegnato a recuperare una posizione di attore privilegiato nel mondo. Da diversi anni Mosca cerca di coltivare questi legami.
L’aggressività antiamericana dimostrata da Chávez è destinata a consolidare e a confermare le sue credenziali come modello antimperialista.