Che l’effetto Convention svanisse era prevedibile. Che evaporasse pure la novità della selezione di Sarah Palin come running mate di John McCain era questione di tempo. Che però entrambe le condizioni si siano realizzate mentre la finanza americana conosceva il periodo più buio dalla Grande Depressione degli anni Trenta, era meno facile intuirlo.
Barack Obama ha tratto giovamento da questa “congiunzione astrale”. Gli indici di Wall Street scendono, quelli di gradimento per Barack salgono. Il Washington Post ieri ha pubblicato un sondaggio che dà il senatore democratico in vantaggio di nove punti, il record. A metà luglio, prima del viaggio europeo, Obama aveva il 7,5% in più di McCain.
Benché il margine sia consistente (il clan repubblicano contesta però la rilevazione), è il trend rialzista di Obama a spaventare il campo rivale. Da quando Lehman Brothers è fallita, l’ascesa del senatore dell’Illinois è stata costante. Con l’economia ormai saldamente tema-chiave dell’elezioni, tocca ora a McCain rimontare e spostare il confronto su un piano a lui più favorevole.
Con la scelta della Palin e il decisionismo mostrato sul fronte russo-georgiano, McCain era riuscito nell’impresa di spostare i confini del confronto. Ma l’economia è un altro terreno. Secondo un sondaggio della CNN, Obama è ritenuto più credibile nella gestione delle crisi economiche.
Gli ultimi dieci giorni hanno fra l’altro mostrato il lato debole di McCain. Il repubblicano ha tentato in ogni modo di restare al centro della scena proponendo soluzioni alla crisi, rilasciando dichiarazioni e annunciando piani per cambiare la cultura nefasta di Wall Street risultando più schizofrenico che efficace. Dapprima ha contestato il salvataggio dell’Aig, poi lo ha sostenuto. Ha criticato il capo della Sec, (la Consob americana) chiedendone la testa, e infine ha suggerito una proposta per il salvataggio delle aziende che non è dissimile da quella che l’Amministrazione Bush aveva già predisposto. L’ultimo affondo proprio mercoledì in serata quando prima ha proposto a Obama di rinviare il primo dibattito tv per consentire al Paese di concentrarsi con la crisi economica; poi ha annunciato la sospensione della campagna elettorale e chiesto a Bush la convocazione di una riunione di emergenza alla Casa Bianca, presenti lui e Obama, per valutare il da farsi. Mosse che appaiono più tentativi di riconquistare la scena che efficaci medicine alle debolezze di Wall Street.
Il problema di McCain è in fondo la coerenza. Per anni in Senato è stato fra i campioni della deregulation e nel momento di crisi ha tentato di reinventarsi come un sostenitore delle regole ferree del mercato. Una piroetta difficile da spiegare, secondo il quotidiano on line The Politico. McCain oggi sostiene la necessità di una commissione indipendente che valuti le società meritevoli di essere aiutate. E ritiene che le retribuzioni dei Ceo delle grandi società siano esagerate, soprattutto, ha detto, perché «è con le tasse degli americani che si paga la buona uscita» dei manager delle società fallite come la Lehman Brothers. Due punti che non lo collocano granché distante da Obama.
La reazione del candidato democratico alla crisi è stata sicuramente più cauta. In fondo il crollo e le difficoltà hanno portato acqua al suo mulino. Da mesi il candidato democratico sostiene la necessità di regolamentare il mercato finanziario, di limitare gli sprechi e di dare maggiori poteri di controllo alla Fed. Il perno del suo piano economico prevede aiuti concreti alle famiglie vittime dei mutui subprime.
Obama sta ancora tentando di sfruttare la situazione. Con il piano di salvataggio da 700 miliardi di dollari (10mila dollari a famiglia) in bilico, Obama tenta di strappare, con l’aiuto dei democratici al Congresso, il più possibile a favore dei redditi medio bassi e sul piano della regulation del mercato.
Ma se sul breve termine, il democratico può contare su questi fattori, la crisi economica e finanziaria rischia di mettere in pericolo l’impianto globale della sua piattaforma economica impostata su un aumento della spesa pubblica. Lo stesso Obama ha ammesso parlando alla NBC che dovrà rivedere alcuni piani, dilazionarli nel tempo. Come la riforma sanitaria. Il suo piano costerebbe fra i 50 e i 65 miliardi di dollari all’anno. Restano sospesi anche i tagli alle tasse per chi guadagna meno di 200mila dollari.
Ma su questo avrebbe più problemi McCain che vuole rendere permanenti gli sgravi fiscali varati nel 2001 e nel 2003 da George W. Bush.