Anche se sui media nazionali la questione è andata in secondo piano, la persecuzione dei cristiani nella regione dell’Orissa in India, passata all’onore delle cronache principali solo settimana scorsa per l’episodio dei due cristiani arsi vivi, continua imperterrita e sempre ugualmente feroce. E la situazione, naturalmente, preoccupa non poco la Santa Sede. Una preoccupazione che secondo il vaticanista dell’Espresso Sandro Magister ha motivazioni molto profonde ed articolate.



Magister, monsignor Mamberti, segretario vaticano per i rapporti con gli stati, al Meeting di Rimini ha lanciato un vero e proprio allarme cristianofobia: perché questa preoccupazione da parte della Santa Sede?

Questa preoccupazione è sicuramente fondata: scorrendo le cronache che i media mondiali danno dei fatti che si succedono sul versante che è all’incrocio tra il politico e il religioso nei diversi contesti mondiali, le reazioni e i giudizi che emergono sono abbastanza diversi. Ci sono reazioni sistematicamente molto forti, talora molto nervose, quando ci sono atti e parole che feriscono la sensibilità di musulmani ed ebrei; non altrettanto avviene invece quando si tratta di atti e parole che colpiscono direttamente i cristiani. C’è questa differenza fondamentale che induce la Chiesa a lanciare un segnale d’allarme, cioè a richiamare l’attenzione di tutto il mondo su un fenomeno  grave, che riguarda i cristiani in quanto cristiani. Va detto anche che quello scarso interesse e quella scarsa sensibilità che si rivela in generale nei confronti di azioni che colpiscono i cristiani è un fenomeno che ha delle forme persino dentro al mondo cattolico. C’è una scarsa sensibilità degli stessi cattolici, in larghi strati della Chiesa, nei confronti di attacchi e persecuzioni che colpiscono parti della Chiesa in regioni importanti del globo. 



Un’altra cosa che colpisce è il fatto che i giornali parlino degli scontri come quelli che avvengono in India quasi fossero la naturale conseguenza delle religioni. 

Sì, c’è una corrente culturale, abbastanza diffusa nei media e nell’intellettualità mondiale, che addebita alle religioni indiscriminatamente una sorta di peccato originale, di colpevolezza connaturata che consiste appunto nel generare odio, fanatismo, scontri di cultura e di civiltà. Questo è un tipo di lettura dei fatti che è fortemente ideologizzata, ma che ha un largo seguito in strati importanti dell’intellighenzia mondiale.



In India invece come vengono recepiti e commentati questi fatti? 

Le reazioni della stampa indiana, specialmente di quella in lingua inglese che è letta dai ceti istruiti e all’estero, adotta in modo abbastanza sistematico una lettura della persecuzione che colpisce i cristiani a diverse riprese come generata dai cristiani stessi, in quanto esportatori abusivi di una loro fede in un continente che non dovrebbe essere violato nella sua integrità religiosa. Questa lettura è assolutamente priva di fondamento, perché se c’è un grande paese in cui l’espansione del cristianesimo è abbastanza contenuta, anche numericamente, questo è certamente l’India. In India non abbiamo fenomeni di conversione di massa, come talvolta vengono denunciati dagli stessi esponenti indiani. Abbiamo caso mai qualche raro fenomeno, abbastanza circoscritto, di gruppi religiosi di tipo protestantico che tendono a un proselitismo abbastanza intenso. Ma sono fatti circoscritti e che non dovrebbero preoccupare la nazione indiana. 

Quali sono i veri problemi alla base del rapporto fra cristiani e induisti?

Il problema vero è che il cristianesimo in India è qualcosa di profondamente dissonante rispetto a quella che è la struttura culturale e civile dell’India stessa da secoli, vale a dire il sistema delle caste. Il cristianesimo per natura è una religione che predica l’uguaglianza: tutti gli uomini sono a immagine di Dio, qualsiasi condizione essi vivano. È questo Vangelo dell’uguaglianza che rompe la crosta del sistema castale indiano, che in realtà include anche una forma schiavistica, non dichiarata come tale ma concretamente molto simile allo schiavismo stesso. Questa forte dissonanza che il cristianesimo produce è una ragione importante, se non la principale, delle reazioni che i settori estremisti dell’induismo attuano contro i cristiani stessi. 

I fatti particolarmente violenti di questi giorni sono destinati ad essere circoscritti, oppure dobbiamo aspettarci un ulteriore peggioramento della situazione? 

Questi fatti non sono certo una recrudescenza momentanea: guardando al passato sono il riaffiorare, a intermittenza abbastanza stretta, di attacchi violenti che hanno costellato la cronaca degli ultimi anni. L’Orissa tra l’altro è lo stato in cui negli ultimi due o tre anni si sono avute le punte maggiori di questa recrudescenza. Se la sequenza, guardando al passato, è quella che abbiamo descritto, c’è da temere che anche in futuro un fenomeno del genere continui a prodursi, perché effettivamente nella regione indiana non si notano anticorpi abbastanza forti a questo fenomeno. 

Il cardinal Bagnasco ha invitato tutti a una maggiore attenzione sui fatti dell’India. In effetti leggendo i media nazionali si ha l’impressione di una scarsa considerazione di questi fatti: condivide questa preoccupazione? 

Anche questa è una preoccupazione fondata: i media italiani – naturalmente con alcune virtuose eccezioni – hanno dato un certo spazio alle notizie dell’India solo nei giorni in cui vi sono stati dei picchi della violenza stessa. Quando questa è diventata violenza quotidiana è subito scomparsa dai primi piani, per finire in noticine interne quasi invisibili. Tutto, cioè, si è concluso con la registrazione di fatti come notizie isolate, senza spingersi ad investigare le ragioni profonde dei fatti stessi.