Dal 1998 lavora in India, raggiungendo le sedi della propria azienda, stanziate nel subcontinente. Italo R., ingegnere milanese e padre di cinque bambini, conosce ormai perfettamente le dinamiche e gli equilibri che caratterizzano la società indiana. Ci racconta la propria esperienza e il proprio giudizio anche in merito agli ultimi avvenimenti in Orissa.



Ha mai corso dei rischi durante i suoi numerosi soggiorni in India?

Personalmente no, però sono stato molto attento perché so che, nonostante si parli comunemenete dell’India come di un paese tranquillo, in realtà soggiace una tensione molto forte che ogni tanto sfocia in massacri pesanti. Un esempio che mi viene subito alla mente riguarda quanto accaduto nel 1992 a Bombay, dove ci fu un pogrom contro i musulmani a seguito di un incendio di un treno pieno di pellegrini induisti. Nel nord dell’India, sempre per lo stesso motivo, rasero invece al suolo una moschea costruita sulle rovine di un tempio indù.



Com’è l’attuale situazione politica?

In India è cresciuto molto, negli ultimi tempi, un forte partito politico che si chiama Bharatiya Janata Party (BJP) caratterizzato da un radicatissimo nazionalismo a sfondo religioso. Questo partito, che è stato anche al governo nella precedente legislatura, ha espresso il primo ministro e ha anche fatto eleggere numerosi ministri e moltissimi sindaci di varie città. Questo partito rappresenta la parte “presentabile” di vari movimenti estremisti che esaltano fanaticamente la religione come fattore di protezione della propria identità contro le altre. Lo scontro “preferito” di questi movimenti è solitamente nei confronti dei musulmani.



Proprio a un nostro agente di fede musulmana, nel 1992, rasero al suolo il magazzino. In quell’anno ci furono più di 1000 morti nella sola città di Bombay, massacro che ha avuto scarsa eco in occidente, tanto per cambiare. Ma questi scontri producono centinaia di morti ogni anno.

Quali sono, a suo avviso, le cause che hanno portato a questa situazione?

Questi scontri religiosi di cui ho parlato si sommano a molte situazioni di crisi politica, come quella presente nella regione del Kashmir fra India e Pakistan. In India ci sono 150 milioni di musulmani, è il secondo paese dell’Islam dopo l’Indonesia. Nel Gujarat sono accadute spessissimo tante battaglie nel corso della storia fra induisti e musulmani. Ricordiamoci che l’India, come oggi è concepita, nacque con un bagno di sangue: la partition, voluta dagli inglesi, la spartizione attraverso la quale milioni di persone si sono dovute spostare dalle regioni indiane a quelle pakistane e viceversa per poter andare a vivere coi propri correligionari.

Per quanto riguarda le altre minoranze religiose esse, dal momento che dispongono di pochissimo potere economico, politico o sociale, non possono che rimanere schiacciate all’interno di questo enorme meccanismo di lotta.

Come sono considerati generalmente i cristiani indiani o che risiedono in India?

C’è una forte e vecchia tradizione cristiana negli Stati dell’India sud occidentale, ossia nello Stato di Goa, dove, nel XVII secolo si stanziarono i portoghesi, e nel Kerala. In queste regioni il tenore di vita è molto più alto che nel resto dell’India. Qui i cristiani appartengono per lo più a ranghi elevati, sono perfettamente accettati e considerati dei bravi cittadini non discriminabili nella scala sociale. Nel resto dell’India però i cristiani sono molto pochi. Rimangono per lo più ben stimanti a causa dell’educazione che hanno importato. Mi riferisco alle scuole. Anche se in alcune regioni “calde” ho visto gli istituti fondati da Madre Teresa la cui struttura esteriore e il cui controllo militare sono tali e quali a quelli dei fortini militari. Nonostante la stima di cui generalmente godono basta un niente a scatenare le ire degli induisti radicali. Come adesso sta avvenendo in Orissa. Questo avviene perché i cristiani rappresentano l’unica realtà di accoglienza per i “paria”, gli “intoccabili”, l’ultima casta in ordine gerarchico. Un simile fatto infastidisce, in maniera per noi occidentali inconcepibile, gli appartenenti alla religione induista.

È davvero ancora così forte il sistema delle caste?

È un sistema tuttora esistente. Gli intoccabili fanno i lavori considerati più infami, come, ad esempio, seppellire i morti che non hanno parenti. Per la tradizione induista il loro valore esistenziale è di gran lunga inferiore a quello delle vacche sacre. Per noi occidentali, che abbiamo il concetto di persona, è molto difficile immaginare il fatto che esistano individui che in India non possono venir considerati alla stregua di esseri umani.

Ricordo un mio amico, dirigente di un’importante azienda, che una volta mi diede questa chiave di lettura per capire l’India, disse: «questo è un Paese dove internet convive con l’età della pietra». È una frase significativa, perché si illustra il verificarsi di fenomeni davvero curiosi per noi europei: l’impossibilità di un ingegnere nucleare indiano di poter sposare una donna analfabeta che appartiene a una casta superiore, l’invidia e la rabbia delle caste borghesi per un paria che si riesce a laureare, i matrimoni combinati e così via. Insomma il concetto delle caste è ancora molto ben presente all’interno del sostrato psicologico collettivo indiano.

Quindi è un Pese pieno di contraddizioni.

Contraddizioni fortissime che fanno impressione a noi occidentali. Un altro esempio di comportamento sociale che differisce totalmente dai nostri schemi riguarda la loro “atarassia” nei confronti degli individui che esulano dalla personale cerchia di conoscenze. Situazioni di accattonaggio generale e diffuso, effettuato anche da bambini di tre o quattro anni, vengono da loro accettate senza battere ciglio. Questo atteggiamento spiega anche la grande indifferenza che a livello popolare si sta dimostrando nei confronti dei cristiani appena massacrati.

Ma nel dibattito politico non si contempla la possibilità di cambiare la situazione sociale?

Adesso c’è una grande polemica a livello politico sulle “azioni di promozione” degli intoccabili, sostenute dalle aree politiche più “progressiste”. In poche parole da un lato viene mal tollerata, soprattutto in un confronto con la cultura occidentale, questa divisione sociale, dall’altro viene invocato un ritorno alla tradizione da parte dei conservatori, che, lo ripeto, in India, hanno sempre più potere. Recentemente i partiti conservatori si sono ribellati al fatto che molti posti dell’amministrazione statale siano stati consegnati a persone di bassa casta, sebbene si trattasse di laureati a pieni voti. Questo, chiaramente, non ha facilitato neanche la posizione dei cristiani, i primi a battersi, anche in politica, per il riconoscimento dell’uguaglianza sociale.

Più in generale, come viene considerato, in India, uno straniero al giorno d’oggi?

Gli stranieri occidentali, a livello popolare e anche, talvolta, istituzionale, sono vittime di un pregiudizio che li dipinge per lo più come ricchi rammolliti. A differenza però della Cina, l’India non è una potenza militare né una nazione militarizzata; ciò la induce spesso ad assumere anche un atteggiamento di servilismo nei confronti dell’Occidente. È chiaro però che nel momento in cui il paese cresce economicamente le spinte identitarie aumentano di pari passo e, con queste, il nazionalismo.

A tal proposito sottolineerei la scarsissima stabilità politica: ogni governo si è retto, nel corso della storia indiana, e tuttora si regge su alleanze fragilissime. Questo spiega perché l’autorità centrale sia così restia ad intervenire in casi come quello che sta svolgendosi in Orissa. Se infatti i nazionalisti induisti dispongono di così tanto potere politico, è difficile che le autorità condannino con fermezza le azioni dei movimenti che questi implicitamente appoggiano.