Nella prima settimana di ripresa della attività politica in Spagna, il governo Zapatero ha intensificato il suo sostegno a riforme di stampo radicale. In solo sette giorni ha appoggiato l’inchiesta del giudice Garzón sui desaparecidos nella Guerra Civile, anche se sprovvista di fondamento giuridico, rompendo così con la riconciliazione nazionale che già dagli anni ’50 dello scorso secolo era promossa anche dai comunisti; inoltre, la responsabile di uno dei ministeri più emblematici, quello dell’Uguaglianza, o dell’ideologia del Genere, ha annunciato una nuova legge sull’aborto, che si prospetta come più permissiva. Eppure, il programma elettorale dei socialisti non prevedeva nessun cambiamento nella regolamentazione di questa materia, così come nel programma non vi erano riferimenti alla eutanasia. Tuttavia, domenica scorsa il ministro della Sanità, Soria, ha parlato apertamente di suicidio assistito, premendo così l’acceleratore dopo quattro anni in cui ha negato che l’eutanasia fosse tra le sue priorità.
Zapatero ha definito ipocrita chi si permette di criticare tanta ingordigia legislativa in una direzione così nefasta, ma questa iperattività nel sostenere con leggi una cultura di morte sembrerebbe suggerire che il premier è in possesso di sondaggi molto negativi, o che cerca la polemica sociale per evitare le elezioni anticipate che potrebbero essere richieste dalla situazione economica.
Di fronte ai sondaggi, il Presidente del governo spagnolo parrebbe ricorrere quindi a una strategia che gli diede buoni risultati nella prima legislatura: il conflitto sociale. Marxista senza marxismo, Zapatero genera una frattura nella società spagnola (tesi), provoca la inevitabile reazione delle realtà sociali che si oppongono alla sua rivoluzione nichilista (antitesi) e lui si presenta come la soluzione per questa frattura (sintesi). Occorre creatività per non cadere in questa trappola creata per chi considera necessaria la difesa dei “ valori non negoziabili”.
“Il tuo corpo è tuo, questo è socialista” diceva Bernat Soria, ministro della Sanità, per annunciare su El Pays non l’eutanasia, ma il suicidio assistito. Questa affermazione è molto interessante, perché riflette il problema razionale che sta al fondo della nuova riforma. Il cambiamento giuridico è esplicito e l’idea è di una regolamentazione simile a quella olandese o svizzera: quando il paziente chiede di suicidarsi, lo può fare “assistito” da un medico. L’ordinamento giuridico non protegge il bene della vita e accetta come ultimo tribunale una libertà distruttiva.
L’immoralità del nuovo diritto alla morte è che esso si costituisce contro l’evidenza più elementare della ragione: la vita non si costruisce, è un dono in ogni istante. Solo una mentalità radicalmente borghese può imbastire una menzogna capace di mettere a tacere ciò che percepiamo quotidianamente: il nostro corpo è il segno più chiaro e immediato che il nostro essere ci è dato, non nostra proprietà, ma chiamata di Chi ce lo ha donato.