Il prossimo 8 febbraio i cittadini svizzeri saranno chiamati alle urne sul delicato tema della libera circolazione delle persone nell’ambito degli accordi bilaterali che regolano i rapporti tra Svizzera e UE.
La Svizzera e l’Europa (1992-2008)
I rapporti tra la Svizzera e l’attuale UE si sono sviluppati per tappe che è opportuno ripercorrere brevemente. Nel 1992 il popolo svizzero ha respinto con una risicata maggioranza (50,3% di no) l’entrata nell’allora Spazio economico europeo (SEE).
In seguito a tale rifiuto, il governo svizzero ha intavolato importanti trattative con l’UE volte a regolare i rapporti economici e politici attraverso la via di accordi bilaterali. Le negoziazioni sono sfociate nel 1999 nei cosiddetti Accordi Bilaterali I, approvati in votazione popolare il 5 maggio del 2000 da una larga maggioranza della popolazione (67,2% di sì), ed entrati in vigore il 1° giugno 2002. I Bilaterali I si compongono di sette accordi che hanno come obbiettivo principale un migliore accesso ai mercati dell’Unione da parte delle imprese svizzere. I sette accordi sono legati fra di loro da quella che è comunemente chiamata “clausola ghigliottina”: se uno degli accordi è denunciato, o non viene ricondotto, anche i rimanenti accordi sono annullati.
Nel 2004 la Confederazione e l’UE firmano un nuovo pacchetto di accordi (i “Bilaterali II”), di cui la maggior parte sono già entrati in vigore. In questo secondo pacchetto sono inclusi gli accordi sulla libera circolazione delle persone di Schengen e Dublino, approvati dalla popolazione svizzera nel 2005 ed entrati in vigore in modo operativo lo scorso 12 dicembre 2008 per quel che concerne le frontiere terrestri (per gli aeroporti si dovrà attendere fino a marzo 2009).
La votazione dell’8 febbraio
Gli accordi sulla libera circolazione delle persone non sono che una parte degli accordi bilaterali tra Svizzera e UE, ma innegabilmente sono quelli che maggiormente agitano il dibattito politico e l’opinione pubblica. La complessità dei rapporti bilaterali vuole che a ogni allargamento dell’UE a nuovi membri gli accordi sulla libera circolazione delle persone con la Svizzera non siano automaticamente estesi a tali nuovi membri. Le modalità di estensione (periodi transitori, restrizioni, ecc.) devono pertanto essere regolate da un protocollo aggiuntivo.
In seguito all’allargamento dell’UE a dieci nuovi membri nel 2004, l’accordo di libera circolazione (Bilaterali I) con la Svizzera è stato oggetto di un protocollo aggiuntivo che prevede per i nuovi stati un regime transitorio in vigore fino al 2011. Tale protocollo è stato approvato da un referendum popolare nel 2005, con il 56% dei votanti favorevoli.
Il prossimo 8 febbraio il popolo svizzero dovrà pronunciarsi su due oggetti distinti fra loro, ma legati in un’unica votazione: la riconduzione degli accordi sulla libera circolazione (Bilaterali I) con l’UE-25 e la loro estensione a Bulgaria e Romania, membri dell’UE dal 1° gennaio 2007. In pratica il popolo dovrà decidere se accettare ambedue i progetti o se rifiutarli entrambi. Un rifiuto popolare obbligherebbe il Consiglio federale a denunciare l’accordo di libera circolazione che in virtù della clausola “ghigliottina” porterebbe a un annullamento di tutti gli accordi del pacchetto dei Bilaterali I.
Recentemente il Consiglio federale e i governi cantonali si sono espressi per l’accettazione della votazione di febbraio sottolineando, oltre alle conseguenze della clausola ghigliottina, il bisogno di manodopera estera e l’infondatezza degli argomenti generalmente invocati dagli euroscettici: aumento della criminalità, immigrazione di massa dai paesi nuovi membri dell’UE o il tanto temuto dumping salariale.
Questi argomenti sono però contestati dall’UDC (Unione democratica di centro, il partito di destra che attualmente raccoglie il maggior numero di consensi: 28,9% alle ultime elezioni federali) che ha anche fortemente criticato la scelta di unire in un’unica votazione la riconduzione dei Bilaterali I e la loro estensione a Romania e Bulgaria. L’UDC, l’unico dei grandi partiti a essersi schierato contro la posizione del consiglio federale, si è detto favorevole alla riconduzione degli accordi bilaterali con l’UE-25, ma contraria alla loro estensione a Romania e Bulgaria. Il che significa, in buona sostanza, un rifiuto del pacchetto in votazione l’8 febbraio. L’UDC sostiene inoltre che in caso di voto negativo l’UE difficilmente applicherà la clausola ghigliottina dato che la fine dei bilaterali non gioverebbe ai paesi membri.
L’esito della votazione è, allo stato attuale, più che mai incerto. La campagna per il voto non è ancora decollata e solo l’UDC ha lanciato in modo deciso i suoi argomenti. Alcuni membri del partito hanno già paventato lo spettro di un aumento dell’immigrazione di Rom da Bulgaria e Romania (dove vivono, secondo le stime, da 2,2 a 4 mio di Rom). La presenza dei Rom è argomento di indubbia attualità in alcune città svizzere, come ad esempio Ginevra, e le vicende di alcuni paesi confinanti, Italia in particolare, potrebbero dare all’argomento un certo peso.
Una Svizzera euroscettica?
Se l’adesione all’UE non è al momento tra i desideri degli svizzeri, gli accordi bilaterali e i loro differenti allargamenti hanno sempre ottenuto il favore delle urne. I contorni del fronte del no sono però di sempre più difficile interpretazione. Se all’inizio degli anni Novanta la differenza tra i cantoni romandi (più marcatamente europeisti) e cantoni germanofoni (sostanzialmente più ostili) era assai netta, dal 1992 a oggi le differenze tra le due aree linguistiche, in merito a temi di politica estera, sono andate via via diminuendo. Dopo la votazione del 2005 per l’allargamento della libera circolazione ai nuovi membri UE, lo scarto tra cantoni romandi e cantoni tedeschi era di soli 6 punti percentuale, mentre per l’approvazione dei Bilaterali I (2000) era di 11 punti circa e nel 1992 (adesione allo SEE) lo scarto era di 31 punti percentuale!
Tale riavvicinamento è in parte il frutto dell’aumento di sì nelle regioni germanofone, ma anche di una diminuita convinzione dei Romandi nei confronti dell’UE. Se nel 2000 il 77,6 % si era espresso a favore dei Bilaterali I, a giugno 2005 gli accordi di Schengen e Dublino sono stati approvati dal 64% dei Romandi e a settembre dello stesso anno l’allargamento dei Bilaterali I aveva “convinto” solo il 61% dei votanti. Anche l’abituale divario tra popolazione rurale e popolazione urbana (più europeista) si è andato assottigliando. Si può infine notare come l’assottigliamento del fronte europeista nei cantoni romandi si accompagni ad una netta progressione dell’UDC e di altre formazione di destra populista in tali cantoni.
Il Ticino guida ormai il drappello dei cantoni euroscettici (tra i quali vanno annoverati anche Uri, Svitto, Obwaldo, Nidwaldo, Glarona e Appenzello Interno). Nel 2000 i Bilaterali I sono stati respinti dai Ticinesi con il 67% di no e l’estensione degli accordi di libera circolazione del 2005 è stata pure rifiutata a larga maggioranza: 63,9% di contrari.
Ciononostante la Svizzera è uno dei paesi europei con il maggior numero di stranieri residenti sul suo territorio. A dispetto dell’abituale ritornello “la barca è piena”, scandito dall’UDC e dalla destra populista, il numero di stranieri accolti è in crescita. Secondo i dati forniti dall’Ufficio federale di statistica nel 2007 gli stranieri residenti sul territorio elvetico sono aumentati dell’1,8%, fissandosi attorno a un 1 milione e 700mila individui, pari a circa il 21% della popolazione totale. In Europa, solo Lussemburgo e Lichtenstein hanno tassi più elevati mentre la media europea è nettamente più bassa. Nel 2007, L’UE-15 aveva una media di 7,7% di stranieri residenti e l’Italia del 6,6%.
Quale futuro per i Bilaterali?
Aldilà dell’esito della votazione, il dibattito politico e i rapporti con l’UE si annunciano come un importante banco di prova per il Consiglio federale che dovrà dimostrare di aver superato la crisi che ha caratterizzato la turbolenta uscita di scena di Christoph Blocher (UDC). Il Governo dovrà ritrovare quella collegialità smarrita negli ultimi anni e che costituisce l’anima stessa del sistema politico svizzero. Da questo punto di vista sarà interessante osservare le mosse del neo-consigliere federale Ueli Maurer (UDC), preso tra il dovere di collegialità (al quale si è detto pronto a sottomettersi) di un consiglio federale favorevole all’allargamento della libera circolazione a Bulgaria e Romania e la fedeltà al suo partito, che si mostra invece contrario.
Il sentimento che i Bilaterali comportino l’accettazione supina, quasi imposta da Bruxelles, dei nuovi membri dell’UE e scarsi vantaggi comincia a far breccia. Nel Canton Ticino, ad esempio negli ambienti dell’industria e dell’edilizia, si denuncia da più parti la mancanza di una reale reciprocità nell’attuazione degli accordi con l’UE. Se poi si guarda al difficile problema della sovranità cantonale in materia di fiscalità i malumori verso l’UE si fanno più diffusi. Il problema fiscale è ormai da tempo sul tavolo delle trattative, ma né Bruxelles né Berna, tantomeno i governi cantonali, sono per il momento disposti a fare molte concessioni. Il tema è delicato e in terra elvetica l’attacco al sistema fiscale è sentito da molti come il preludio allo smantellamento del segreto bancario.
Un paragone interessante
Il modello svizzero di democrazia semi-diretta e la conseguente particolarità dei rapporti tra la Confederazione e l’UE offrono alcuni spunti di riflessione interessante. Se nella Confederazione elvetica è naturale che i rapporti con l’UE siano approvati in sede di votazione popolare, non altrettanto può dirsi dei paesi europei.
Da questo punto di vista è però interessante osservare come nei paesi membri dell’UE dove le proposte di Bruxelles sono state sottoposte al voto, il popolo abbia smentito i Governi. Basti ricordare le sonore bocciature popolari di Francia e Olanda alla Costituzione europea nel 2005 o al più recente rifiuto, nel giugno scorso, del Trattato di Lisbona da parte del popolo irlandese. E come dimenticare i timori che aveva suscitato l’allargamento ad est dell’UE in paesi come ad esempio Germania e Austria (la nota sindrome dell’idraulico polacco). E non va dimenticato che nel 2004 solo Gran Bretagna, Svezia e Irlanda avevano aperto senza restrizioni il mercato del lavoro ai paesi dell’est europeo. Gli altri stati avevano mantenuto forme restrittivi simili a quelle adottate anche dalla Svizzera.
Insomma in Europa come in Svizzera una certa diffidenza popolare verso l’UE, così come vorrebbero imporla da Bruxelles, è attestata in modo evidente. In tale prospettiva appare un po’ troppo semplicistico tacciare di populisti i partiti che esprimo dubbi in proposito alle politiche UE, o nel caso svizzero, alle ratifiche di quanto deciso in sede negoziale. E non pare nemmeno legittimo ignorare il parere popolare, con il pretesto, a volte nemmeno troppo sottinteso, che comunque il popolo è bue e non capisce.
E forse proprio qui sta il problema. Che la lettura e la comprensione degli Accordi Bilaterali non siano semplici è innegabile. Se quindi il Consiglio federale (e i partiti che si sono schierati sulle sue posizioni) non vorrà vedere prevalere un voto emozionale, figlio della crisi, e un conseguente rifiuto a un quindicennio di politica estera, dovrà far capire ai cittadini quale sia il ruolo della Svizzera nel complesso dell’UE e dimostrare in modo chiaro che la via dei bilaterali non comporta solo rinunce e svantaggi. E in caso di voto negativo il Governo e partiti di centro-sinistra dovranno realmente interrogarsi sui significati di un eventuale rifiuto popolare, senza cedere a facili retoriche.
(Corrado Baumgarten)