Lo scorso 22 gennaio, giovedì sera, il leader congolese dei ribelli Tutsi, Laurent Nkunda, è stato arrestato a seguito di un’operazione congiunta e condotta dai governi del Congo e del Ruanda. Le milizie di quest’ultimo Stato hanno attraversato il confine del Paese in accordo col governo di Kinshasa. Si tratta di un’improvvisa alleanza che ha lasciato sorprese popolazione e comunità internazionale. E quali risvolti potrà avere questo nuovo corso degli eventi è davvero difficile prevederlo. Abbiamo chiesto a Edoardo Tagliani, cooperante AVSI per il Congo ed ex giornalista, di raccontarci questi ultimi concitati giorni nel martoriato Paese



 

Com’è attualmente la situazione del Congo?

La situazione è terribilmente confusa. Neanche il più lungimirante tra coloro che lavorano su questo territorio avrebbe potuto immaginarsi qualcosa di simile a quanto sta accadendo nelle ultime ore. Nell’arco di tre giorni l’esercito Ruandese è entrato nel territorio congolese, con l’accordo ovviamente di Kinshasa, e quello che era il capo della ribellione dal 2004, da quando invase la città di Bunangana, è stato arrestato dagli stessi ruandesi. Quindi il tutto ha certamente generato ovunque una situazione piuttosto confusa e nessuno capisce di preciso che cosa succeda.



Ovviamente speriamo tutti nelle logiche più ottimistiche del caso, ossia che avvenga realmente quello che apparentemente sembra, e che sia un inizio della risoluzione della crisi quasi quindicinale del Kivu.

Come viene percepita a livello popolare l’invasione “pacifica” delle milizie ruandesi?

Due giorni fa i poveri congolesi che abitano a ridosso della strada, la prima percorsa dalle milizie ruandesi, hanno spalancato la bocca e si sono chiesti che cosa stesse succedendo, se si trattava di un’invasione, di una guerra o quant’altro.

Oggi vanno in giro le teorie più disparate. C’è chi è contento e chi è ottimista. C’è chi rifiuta la presenza di ruandesi sul territorio o chi pensa che sia un trucco del Ruanda per occupare il Congo. E infine c’è chi dice: «finalmente siamo ad un punto di svolta di questa crisi e c’è stato un accordo serio fra i due governi». È proprio la confusione più totale specialmente fra la gente più povera la quale, rispetto a noi volontari che siamo comunque dei privilegiati, è totalmente traumatizzata, esce da quattordici anni di guerra, e, soprattutto, si ricorda di quando i ruandesi erano nemici. Ricordiamo che per anni interi la posizione dei ruandesi è stata parecchio ondivaga nei loro confronti. Dunque i cittadini congolesi non sanno davvero più di chi fidarsi, sono spaventati. Ma, forse per la prima volta, si trovano anche a sperare che qualcosa cambi.



Qual è adesso il maggiore interlocutore istituzionale per il popolo congolese?

Questo è un altro problema grosso. Purtroppo il Paese ha scarsissimi mezzi di comunicazione la maggior parte dei quali sono schierati. In una nazione dove si svolge un conflitto infatti è più facile avere il possesso della propaganda mediatica rispetto a quanto avviene nella normale politica interna.

Diverso è invece il discorso se riguarda la politica locale. In città ad esempio ci sono diverse e disparate rappresentanze politiche, ognuna delle quali dice la sua. Personalmente credo che la politica locale sia informata tanto quanto noi, gli amministratori civici non sanno che pesci prendere. Questa invasione insomma è un avvenimento passato diversi chilometri sopra la testa della gente.

Qual è la ragione della durata così estesa del conflitto congolese?

Credo che ormai gli osservatori internazionali siano tutti convinti di una cosa: la guerra in corso ha radici economiche, come la maggior parte delle guerre. Poi, purtroppo, facendo una guerra per ragioni economiche, si vanno a toccare altri tasti come ad esempio quello etnico o a fomentare odi di altro tipo.

Sono giunte notizie relative a focolai di virus ebola, può dirci di che entità è l’epidemia in corso?

Sicuramente ci sono dei focolai. Sono distanti dall’est del Congo dove attualmente mi trovo. La situazione è certamente preoccupante, l’ebola è un morbo terribile e si espande con velocità. Occorre certo farvi attenzione, ma non credo che l’epidemia attuale sia particolarmente drammatica in termini di cifre.

Quando si sentono simili notizie non occorre evocare immagini da film alla Virus letale. Bisogna invece rendersi conto di quanto sia ben più grave e cronica la diffusione di febbri emorragiche di diversi ceppi in tutto il Paese. Una mia concittadina, che lavorava in Angola, vicino al confine col Congo, proprio in alcune zone dove si parlava di ebola, è invece purtroppo deceduta a causa del morbo di Marburg che è un tipo di febbre emorragica. Ripeto, non credo che sull’ebola attualmente si corra un rischio particolarmente maggiore al solito. Anche perché chi ci sta lavorando in questo momento, i Medici Senza Frontiere è in collaborazione con le misere e povere strutture ospedaliere che ci sono offrendo le proprie competenze che sono davvero eccellenti.

A cosa attribuisce lo scarso interesse dimostrato finora dalle diplomazie internazionali sulla situazione del Congo?

Non le so rispondere in maniera certa. Un’ipotesi che si può formulare è che lontani dai riflettori dei media è più facile realizzare e ottenere ciò che si vuole senza avere un’opinione pubblica che possa fare pressioni o magari, si spera, indignarsi. Quando cala il silenzio è difficile avere un’opinione su una cosa che non si conosce, e ciò sicuramente giova a molteplici interessi.

Nei fatti questo spot mediatico che abbiamo avuto negli ultimi tre mesi ha cambiato un po’ le cose. La diplomazia internazionale, pungolata, si è data una mossa notevole rispetto al passato. Non so dire se la situazione di oggi sia da attribuire a una buona manovra di questa o ad altre cause, ma sicuramente in questi ultimi tempi si è cercato di fare di più di quanto non si facesse prima.

Quindi le cose stanno lievemente cambiando in senso positivo?

Sì. Io sono di solito un individuo molto positivo se così non fosse non farei il volontario e non sarei qua. Non mi illuderei del tutto però, perché più volte abbiamo visto i riflettori accendersi su di noi per tre mesi e poi calare di nuovo l’oblio su questo Paese. Ricordiamoci che questa è una regione che resta comunque molto complicata. Se si intendesse compiere una seria operazione militare ciò implicherà senza dubbio un enorme dramma umano e umanitario. È difficile pensare che la situazione si sia risolta per una maggiore attenzione internazionale e per l’arrivo delle milizie ruandesi. Intanto abbiamo qualche speranza in più, per il resto staremo a vedere