In Spagna siamo sfortunatamente abituati al fatto che i discorsi politici oscillino tra scarsa qualità e vuota retorica. La mancanza di apertura, di densità culturale e di orizzonte ideale è moneta comune tanto a sinistra quanto a destra. Per questo sorprende il discorso che José María Aznar ha pronunciato ricevendo la laurea “honoris causa” all’Università CEU Cardinal Herrera di Valencia.



È molto nota la capacità di Aznar di uscire dal coro e generare polemica, ma questa volta è successo qualcosa di più. Ci troviamo di fronte a una diagnosi lucida e libera da risentimenti della crisi economica in cui è immersa la Spagna, insieme a una proposta di rinnovamento ad ampio spettro.

In primo luogo possiamo rilevare che Aznar ha inquadrato la crisi spagnola nell’ambito delle tensioni che sperimenta la cultura occidentale, e che lo ha fatto accogliendo la proposta di Benedetto XVI su una laicità positiva. Aznar ha fatto proprio l’avvertimento del Papa che sarebbe fatale se la cultura europea arrivasse a concepire la libertà solamente come la mancanza totale di vincoli, perché facendo così favorirebbe da un lato l’arbitrarietà soggettiva e dall’altro il fanatismo fondamentalista.



Il ricordo della Transizione realizzato durante il discorso è sobrio ma certo. Quella generazione di spagnoli di tutte le appartenenze culturali e politiche non ha preteso di gettarsi alle spalle la propria storia, «non si trattava di mettere da parte la rottura, ma di facilitare la concordia». Aznar sceglie un qualificativo morale per questa tappa, e dice che «è stato un processo virtuoso e autentico», e inoltre che ha funzionato.

A giudizio dell’ex presidente, quell’impulso civico di profondo contenuto morale e capacità trasformatrice si è attualmente dissolto, dato che «sembra essersi imposto un racconto ufficiale che scredita il Patto della Transizione a favore della radicalità e della rottura, di un revisionismo più sterile e della divisione della società spagnola».



Aznar denuncia la slealtà che ha condotto alla centrifugazione dello Stato e avverte che uno Stato residuale non potrà garantire la coesione e l’uguaglianza. Egli ritiene che tutto questo non è una conseguenza del modello di autonomia (che è flessibile perché funzioni, non perché collassi), ma di questa slealtà verso il progetto comune, che sarebbe imputabile (sebbene Aznar non lo dica) ai nazionalismi e alla deriva dominante della sinistra.

Manca nel discorso un’ipotesi più sviluppata sulle connessioni (di cui invece si parla) tra la crisi nazionale e la crisi culturale e morale del nostro paese. Questa è una musica di fondo in tutto il discorso, ma nel testo manca forza e profondità. È qualcosa che si rende evidente quando Aznar enumera i valori base che dovrebbero essere recuperati nel quadro di una rigenerazione nazionale, centrati sulla cultura dello sforzo e della responsabilità personale. Qui si inquadra la neccessità evidenziata di intraprendere una riforma dell’educazione.

Ciò che Aznar vuole promuovere è «una grande corrente di opinione nazionale che recuperi vitalità, fiducia, concordia e speranza nel futuro». Una corrente che non si circoscrive a un partito, ma che unisce una pluralità di soggetti sociali e culturali come è già accaduto durante la Transizione.

La prospettiva è indubbiamente suggestiva, perché rompe lo scontro imperante e non resta nella semplice postulazione dell’alternanza di partiti. La domanda che sorge, e alla quale questo discorso non pretende di dar una risposta, è come suscitare, alimentare e sostenere questa corrente sociale.

Un avvicinamento alla risposta possiamo trovarla precisamente nell’esercizio della laicità positiva invocata nelle prime righe del discorso. Una laicità consistente nella reciproca testimonianza delle ragioni dell’esperienza che ciascuno dei soggetti sociali realizza. Certamente questo dialogo, capace di trovare una base etico-culturale comune, era coltivato negli anni della Transizione: la tradizione cristiana era un fondamento ampiamente condiviso e il desiderio della riconciliazione univa praticamente tutto l’arco sociale.

Ora la situazione è più complessa: si sono rotti molti ponti, si è scioccamente giocato alla rottura, si è prodotta una radicalizzazione ideologica e la società è più frammentata e disarticolata. Ma il gioco vale la candela. In questo movimento civico che chiede Aznar potrebbero convergere realtà sociali generate dal cattolicesimo, settori liberali e alcuni esponenti della sinistra preoccupati dalla dissoluzione nazionale e dal deserto morale.

Il pregio di questo discorso è di averne parlato, ora resta il grande e incerto obiettivo (educativo, culturale e solo in ultima istanza politico) di portarlo a compimento.