Nella notte tra sabato e domenica Israele ha lanciato contro Hamas l’offensiva di terra, che per il governo israeliano dovrebbe essere la mossa risolutiva per mettere la parola fine all’organizzazione fondamentalista. Tuttavia rimangono non poche perplessità sulla reale efficacia della strategia israeliana, che potrebbe perfino rafforzare Hamas. Ilsussidiario.net ne ha parlato con Luigi Geninazzi, giornalista ed editorialista di Avvenire.
Il governo israeliano appare risoluto. Non si rischia un’operazione simile a quella del Libano nel 2006?
Quella è stata l’ultima azione di forza di Israele e sappiamo come si è conclusa. La guerra del Libano è scoppiata il 12 luglio 2006 quando Hezbollah ha rapito tre soldati israeliani al confine nord del Libano. Quella di Hezbollah in realtà era un’azione in appoggio ad Hamas, che il 25 giugno era riuscito a sequestrare un soldato, l’ormai noto caporale Gilad Shalit, ancora nelle loro mani. Per tutta risposta, Israele mise a ferro e fuoco la striscia di Gaza, dicendo che avrebbe fatto di tutto per liberarlo. Il raid aereo sulla Striscia nel giugno 2006 ha fatto 150 morti in una settimana. Sono passati due anni e mezzo ma Israele non è ancora riuscita a liberare il militare.
Il lancio di razzi è ripreso da quando Hamas è diventato il padrone assoluto della striscia di Gaza, cioè da giugno 2007. Ma finora Israele si è sempre trattenuta dall’usare la forza…
Senz’altro le elezioni alle porte e la pressione di Netanyahu hanno convinto Olmert e Livni a usare il pugno di ferro. Poi la transizione Usa, e quindi il venir meno di un interlocutore condizionante, può aver fatto il resto. Sarkozy è stato iperattivo, e in questo caso ha tentato di tenere una distanza critica rispetto a Israele, additando il problema Hamas ma dicendo anche: attenzione a non reagire in modo sproporzionato. Ma c’è un fatto nuovo.
Quale?
Da giovedì abbiamo una presidenza europea ceca. Ma questa – la posizione del ministro degli esteri Karel Schwarzenberg è nota – è decisamente pro israeliana. C’è il rischio che la posizione europea finisca per dare, in buona sostanza, carta bianca a Israele. Non credo infine che Obama cambierà di molto la linea di Bush. Dovremmo aspettarci di vedere un presidente americano che non appoggia Israele? Difficile. Ma la mia naturalmente è una valutazione molto personale.
A questo punto delle cose, a suo avviso, qual è lo scenario?
Temo che fino al 10 febbraio Israele non vorrà recedere dalla linea dura, per motivi elettorali: il governo è “obbligato” a ottenere qualcosa, ma la difficoltà di fissare obiettivi certi rimane intatta. Israele può voler decapitare la dirigenza di Hamas, ma è quasi impossibile. Chi è stato nei campi profughi può capirlo. Gaza ha una densità abitativa più alta di Manhattan, solo che a Gaza non ci sono i grattacieli di Manhattan, ma solo palazzine fatiscenti di due o tre piani. In queste condizioni, la crisi a Gaza si aggraverà. E l’operazione terrestre apre scenari ancor più inquietanti, difficili da decifrare nel loro esito finale.
Israele ha subito attacchi, non ha il diritto di difendersi?
Sì, ma attenzione. Quando si dice, a titolo di esempio, “ma cosa fareste voi italiani o voi francesi se vi tirassero missili dallo Stato vicino?” è una domanda sbagliata, perché la Striscia di Gaza non è uno Stato vicino! Sono territori che fino a qualche tempo fa erano tecnicamente occupati. E giuridicamente lo sono ancora, perché è stato Israele a occuparli e non può trattare quell’offensiva alla stregua di un attacco esterno. Israele ha diritto di difendersi, ma non può farlo continuando a occupare dei territori. Questo Olmert lo aveva capito, e lo aveva capito anche Sharon. Purtroppo non abbiamo ancora visto una politica risolutiva. A parte il ritiro dalla Striscia, ma è stato tardivo.
La settimana scorsa, a Parigi, il ministro degli Esteri Tzipi Livni aveva detto che a Gaza non c’è nessuna emergenza umanitaria e aveva lasciato capire che ogni interruzione del conflitto o mediazione era ingiustificata.
Quella di Livni è un’opinione scontata ma allo stesso tempo discutibile. Difficile pensare che non ci sia una crisi umanitaria a Gaza. Forse non c’è la gente che muore di fame, ma c’è una situazione di crisi umanitaria permanente che dura da almeno un anno e mezzo, cioè da quando hanno bloccato i valichi. Da questi passano col contagocce aiuti umanitari, come forniture di medicinali, ma non c’è più una vita normale: fino a qualche mese fa, per esempio, la gente poteva uscire e andare a lavorare in Israele. A Gaza oggi gli unici che lavorano lo fanno nella polizia o nella pubblica amministrazione, e comunque nei posti creati da Hamas.
Hamas rimane il primo responsabile della crisi, o no?
Hamas ha rotto la tregua per prima e Israele ha ragione quando dice che Hamas è un problema per Israele e per i palestinesi da quando, nel giugno 2007, con un golpe ha preso il potere a Gaza. Ma definito il problema, rimane da capire come affrontarlo. A me pare che l’azione di Israele ricalchi una sua vecchia abitudine: prima colpire, poi vedere cosa succede e infine decidere di conseguenza. L’idea di battere Hamas con la forza, tuttavia, è contraddittoria.
Perché?
Diciamo la verità: tutti, a cominciare da Abu Mazen, il “re travicello” palestinese, vedrebbero con favore la caduta di Hamas. Ma che si possa riuscire con un’operazione militare è molto dubbio. Hamas è molto radicata nella società palestinese, e nel gennaio 2006 ha vinto le elezioni in modo democratico e trasparente. Lo hanno riconosciuto tutte le potenze occidentali, Usa compresi. Ma è fondato, a mio avviso, credere che l’attacco di Israele possa ulteriormente rafforzare Hamas. I militanti di Hamas sono mischiati alla popolazione civile, o si entra nei campi e si ammazza tutti, o una soluzione “militare” non c’è. Senza voler “quantificare” la dignità umana, che è infinita, rimane una sproporzione evidente tra le vittime fatte da Hamas e i morti causati dagli attacchi israeliani. Israele ha individuato il problema, ma la soluzione è tragicamente sbagliata.
Hamas sapeva benissimo cosa sarebbe accaduto se avesse violato gli accordi.
Certamente. Con la decisione di rompere la tregua e lanciare razzi su Israele si vede bene che Hamas è un movimento fanatico e irresponsabile. Ma sa benissimo che più sono i morti tra i palestinesi, e più diventa forte. Diventa debole quando è costretto a governare, a fare l’ordinaria amministrazione, a gestire i problemi di tutti i giorni. Ma quando è sotto assedio, diventa più forte: “vedete? Il nemico sionista ci vuole distruggere”.