Sabato 10 ottobre alle ore 12:00 il Presidente polacco Lech Kaczynsi ha mantenuto la sua promessa e ha sottoscritto il Trattato di Lisbona durante una cerimonia tenutasi a Varsavia alla presenza del presidente José Manuel Barroso, di Jerszy Buzek, presidente dell’Europarlamento e del Premier svedese Fredrick Reinfeldt, presidente di turno dell’UE.



La firma ha posto la parola “fine” a una lunga saga durata ben 557 giorni, tanto è il tempo che separa la firma del Trattato dalla sua approvazione da parte del Parlamento polacco. É stato questo un secondo e positivo effetto del referendum irlandese dello scorso 2 ottobre, al quale molti dei politici polacchi e non hanno guardato con estrema attenzione.



Lech Walesa, storico presidente polacco nei primi anni ‘90 e Nobel per la Pace, dopo aver nel maggio scorso appoggiato il partito Libertas del milionario Declan Ganley, apertamente contrario al Trattato di Lisbona, ha decisamente invertito la rotta e nello scorso mese di settembre si è recato a Dublino a perorare la causa del Sì.

Nel discorso che ha preceduto la firma, il presidente polacco ha dato atto al popolo irlandese di aver rivitalizzato il Trattato e quindi «se ciò è avvenuto, allora non c’è alcun ostacolo alla ratifica». Kaczynski ha poi ricordato che «il Trattato è stato approvato dal parlamento polacco nell’aprile 2008 con una maggioranza ben oltre quella dei 2/3 richiesta dalla Costituzione e che per tutti questi motivi fra poco lo firmerò».



Kaczynski ha voluto sottolineare più volte nel suo discorso che «la Polonia è e rimane comunque un Paese sovrano», concetto espresso anche nel ricordare, e non a caso, la sentenza recente della Corte Costituzionale tedesca ove è stato ribadito che l’Unione è «una unione integrale, ma sempre di Stati sovrani».

Dico “non a caso” perché a distanza di pochi giorni dalla ratifica oggi già si penserebbe (il condizionale è d’obbligo) in seno al partito PIS, partito da cui proviene il presidente e di cui è capo il fratello gemello Jaroslaw, ad una raccolta di firme per sottoporre alla Corte Costituzionale una serie di domande sul Trattato medesimo circa la sua conformità al sistema costituzionale polacco.

É forse un segnale che il partito del presidente intende non inimicarsi del tutto il grande mondo di Radio Maryja, grande bacino di voti e consensi, che da sempre disapprova tutto ciò che è targato UE. Vedremo se avranno corso o meno queste iniziative di stampo elettoralistico che non trovano però riscontro, se non in modo marginale, nei sondaggi e nel modo di sentire e giudicare del popolo polacco.

 

Il supporto alla membership della Polonia nell’Unione, infatti, è stato sempre in crescendo sia prima che dopo l’adesione medesima. Attualmente l’85% della popolazione pensa che l’adesione sia stata un fatto positivo, mentre il 65% crede di averne avuto più vantaggi che svantaggi.

 

Le buone condizioni economiche della Polonia e le migliorate condizioni di vita dei cittadini hanno gradualmente aumentato la valutazione delle conseguenze dell’adesione tanto che il 67%, cioè i due terzi dei polacchi, considerano che l’entrata in Unione abbia avuto effetti positivi sia sullo stato dell’economia polacca che sulla propria vita personale.

 

Attualmente sono pochi i partiti politici e i movimenti, in prima fila la Liga Polskich Rodzin (Lega delle famiglie polacche), che si sono detti contrari alla ratifica del Trattato. Tutti i partiti politici da quelli al governo (PO e PSL) a quelli all’opposizione (PIS almeno a parole, SLD) hanno ritenuto un atto fondamentale e responsabile la sua sottoscrizione.

 

Al di la degli indubbi vantaggi sociali ed economici dell’adesione all’Unione ciò che è certo è che con la firma del Trattato la Polonia può considerare veramente terminato il proprio percorso di ritorno a casa, di “rientro in quella casa comune” di cui già parlava nel 1994 Giovanni Paolo II nell’anniversario del 50esimo della battaglia di Montecassino.

 

Il Trattato di Lisbona impone e comporta quindi, anche per il popolo polacco e per i suoi rappresentanti, un cambiamento importante, una seria riflessione sul proprio modo di sentirsi europei, un impegno ulteriore e più motivato nel costruire quella casa comune europea che potrebbe permettere all’Europa, con il concorso di tutti, di diventare sempre più stabilizzatrice ed esportatrice di pace, stabilità, rispetto della persona, senza dimenticare che altri Paesi bussano alla porta e guardano all’Unione come a un modello da seguire.

 

(Donato Di Gilio)