C’è finalmente un giudice a Londra! Il 15 ottobre 2009, L’Information Tribunal, presieduto dal giudice Fiona Henderson, accogliendo le istanze della Pro Life Alliance, ha dato torto al Ministero della Salute britannico.
Con un’articolata e puntuale motivazione di 43 cartelle, il Tribunale, all’unanimità, ha censurato il rifiuto del Ministero di rilasciare i dati relativi agli aborti effettuati oltre le 24 settimane di gravidanza per lievi disabilità del feto, ed il tentativo di cancellare tali dati.
L’atteggiamento omissivo ed ostruzionistico del Department of Health ha integrato, secondo il tribunale, una violazione del Freedom of Information Act (FIOA), la legge sulla libertà d’informazione. Pertanto, i giudici dell’Information Tribunal hanno intimato lo stesso Ministero della Salute a rilasciare i dati richiesti entro 28 giorni dalla data di emissione della sentenza.
Il collegio giudicante non si è però limitato a smontare la pretestuosa tesi ministeriale volta a coprire i dati sulla base di un asserito diritto alla privacy degli interessati. E’ andato oltre, gettando un’ombra inquietante sulle modalità di controllo delle interruzioni di gravidanza in generale.
Ai paragrafi 81-82-83 della sentenza, infatti, il tribunale ha rilevato che non pare sussista un «mechanism for rigorous scrutiny», una procedura capace di garantire una rigorosa analisi dei dati relativi agli aborti, nel rispetto delle disposizioni normative in materia. Le tanto decantate statistiche non sarebbero improntate ad un effettivo rigore scientifico.
Nei citati tre paragrafi l’Information Tribunal pone una questione di fondamentale importanza non solo nel campo delle statistiche sugli aborti tardivi. La trasparenza, infatti, è un elemento fondamentale nel controllo della legalità del potere e costituisce un pilastro dell’impianto democratico di una società.
Il Ministro della Salute britannico, ora, dovrebbe meditare le parole pronunciate dal mitico editore del New York Times, Arthur Hay Sulzberger, il 30 agosto 1948 durante l’incontro della New York State Publishers Association: «Il giudizio di una persona non può essere certamente migliore dell’informazione sulla quale esso è basato. Se si consente l’accesso a dati veri, una persona potrebbe anche farsi un giudizio sbagliato, pur avendo la possibilità di una corretta elaborazione di quei dati; ma se non si consente l’accesso ad alcun dato o, peggio, si rilasciano, per superficialità, dati distorti, incompleti, raffazzonati, tendenziosi, o se, per ragioni di propaganda, si diffondono dati deliberatamente falsi, allora si otterrà l’effetto di annientare la stessa capacità di giudizio di una persona, rendendola qualcosa meno di un uomo». Una pedina nelle mani del potere.
Onore, quindi, ai giudici dell’Information Tribunal londinese. Ed a coloro che hanno deciso di ingaggiare una battaglia legale in difesa della verità.