In Italia si discute dell’ora di religione islamica nelle scuole, mentre in Gran Bretagna – modello multiculturale cui pare siamo destinati ad approdare nei prossimi anni – scoppia, proprio nelle scuole, la polemica sulle festività religiose da inserire in calendario.

Due municipi londinesi, Waltham Forest e Newham, hanno deciso di chiudere le scuole per la ricorrenza islamica del Eid-Ul-Fitr (che segna la fine del ramadan), quella indù del Diwali (detta festa delle luci, che si celebra il 17 ottobre) e quella sikh del compleanno di Guru Narak (13 novembre), il santone indiano fondatore del sikhismo.



Inevitabile la protesta dei cittadini di religione ebraica, secondo l’ultimo censimento più numerosi dei sikh, pronti a rivendicare anche le proprie festività religiose.

Coloro che sollevano qualche perplessità circa l’iniziativa di modificare il calendario scolastico hanno fatto presente che a Waltham Forest, per esempio, i residenti musulmani rappresentano solo il 16% della popolazione, mentre gli indù non raggiungono l’1,8%, e che



La stragrande maggioranza (per ora) dei cittadini di quel municipio ritiene di dover mantenere le festività che appartengono ancora alla propria tradizione religiosa.

A costoro viene fatto presente che l’integrazione non è un problema quantitativo ma una questione culturale.

In tale contesto si inserisce l’annunciata marcia a Londra, il prossimo 31 ottobre, per introdurre la sharia nel sistema giudiziario britannico.

L’iniziativa, organizzata dal gruppo musulmano Islam4UK guidato da Anjem Choudary, si svolgerà in tre tappe: il parlamento di Westminister, Downing Street e, infine, Trafalgar Square. Altre simili marce seguiranno nel resto del Regno Unito.



Islam4UK invita tutti «dalla Regina ai ministri e parlamentari, dall’aristocrazia alle persone normali, in Gran Bretagna, ad abbracciare l’islam come una nuova “way of life”».

Singolare il programma “politico” del movimento, secondo cui la nazione britannica non ha bisogno di un cambio di leadership, necessita solo di una conversione collettiva all’islam. Regina compresa.

Anjem Choudary è tutt’altro che un farneticante fanatico.

Non propugna un fondamentalismo violento (altrimenti rischierebbe l’arresto anche nel tollerantissimo Regno Unito), non invoca un cambiamento politico. Si batte per una rivoluzione culturale, con una certa dose di realismo. È, infatti, consapevole che difficilmente a lui toccherà in sorte di vivere in una Gran Bretagna islamica, ma è pressoché certo che i figli dei suoi figli avranno questa fortuna. Non fosse altro che per una questione di tasso demografico. Chi può immaginare cosa sarà dell’antica Albione tra una decina di lustri? Choudary ha compreso perfettamente che non è con la jihad del mitico Saladino che si conquista l’Occidente, ma con l’arma invincibile del consenso, attraverso i prodigiosi meccanismi del sistema democratico. In una società moribonda che, tra contraccezione, aborto ed eutanasia, vive con assoluta disinvoltura la propria parabola demografica discendente, l’avanzata delle prolifiche famiglie musulmane non può che avere il sopravvento. In prospettiva, è solo questione di tempo.

Stando ai dati ufficiali dell’Office for National Statistics, la popolazione musulmana in Gran Bretagna è cresciuta, in quattro anni, di 500.000 persone, passando da 1.870.000 del 2004 ai 2.400.000 del 2008. Sempre secondo l’O.N.S. la presenza musulmana nel Regno Unito è aumentata ad un un ritmo dieci volte superiore rispetto al resto della società, mentre nello stesso periodo il numero dei “cristiani” si è ridotto di 2.000.000 di individui.

David Coleman, docente di demografia alla Oxford University, parla di implicazioni «very substantial» e precisa che «una popolazione in crescita tende ad esprimere una voce sempre più forte in termini politici, quanto meno perché viviamo in una democrazia dove gruppi religiosi e radicali detengono un forte controllo del consenso e, quindi, dei voti. Ciò implica necessariamente che le relative opinioni ed istanze debbano essere tenute in particolare attenzione».

È vero che l’Office for National Statistics indica in circa 42,6 milioni l’attuale numero dei cristiani britannici, ma è altrettanto vero il dato secondo cui mentre i cristiani rappresentano l’assoluta maggioranza nella fascia di popolazione degli ultrasettantenni, i musulmani detengono un’altrettanta assoluta maggioranza nella fascia d’età che va dai 4 anni in giù.

Anche Ceri Peach, docente di geografia sociale alla Manchester University, sostiene che la rapida crescita della comunità islamica pone gravi «challenges for society», e che nei prossimi anni la Gran Bretagna dovrà affrontare una «pretty complex situation». Lo stesso professor Peach ha spiegato che l’intero sistema economico, fiscale, sanitario, pensionistico britannico sarà sostenuto, in futuro, con il contributo essenziale di quella fetta della popolazione musulmana oggi al di sotto dei 4 anni. E Muhammad Abdul Bari, segretario generale del Muslim Council of Britain, ha già previsto che il numero delle moschee in Gran Bretagna, attualmente di 1.600, è destinato ad aumentare in maniera esponenziale, seguendo l’andamento della crescita demografica della comunità islamica.

In Italia, intanto, soloni e fondazioni culturali pontificano di integrazione.

Italianieuropei di D’Alema e Farefuturo di Fini ci spiegano quanto sia ineludibile il futuro multietnico cui siamo inesorabilmente destinati.

E per gli ingenui che, perplessi e preoccupati, paventano i rischi del modello britannico, le prestigiose fondazioni hanno una sola risposta: «è il multiculturalismo bellezza!».