«Faccetta nera, bell’abissina». Per noi suona così. Per inglesi, francesi, portoghesi, belgi, olandesi e tedeschi chissà quante altre canzoni ricorderanno l’avventura coloniale europea nel continente africano. Con tutto il male, ma anche un po’ di bene, che tale avventura arrecò al continente nero. E poi la fine del secondo conflitto mondiale, l’apartheid, la lotta all’apartheid, le denunce storiche, le ricostruzioni, la condanna dello schiavismo, la promozione dei paesi del terzo mondo. Tutto finito? Per molti sì. Per il Papa no. Non basta scrollarsi di dosso il passato ammiccando a un generico sentimento di buon cuore nei confronti di un continente tutt’ora lacerato da genocidi, guerre civili, aids, fame e numerosissime altre piaghe. Per Benedetto XVI il colonialismo in Africa «finito sul piano politico, non è mai del tutto terminato». E continua da un lato a depredare il continente, dall’altro a esportare «tossici rifiuti spirituali». Così si è pronunciato il pontefice all’inizio del sinodo speciale dei vescovi per l’Africa. Oltre al colonialismo «mai del tutto terminato», un altro «virus» minaccia l’Africa: «il fondamentalismo religioso, mischiato con interessi politici ed economici. Gruppi che si rifanno a diverse appartenenze religiose si stanno diffondendo nel continente africano; lo fanno nel nome di Dio, ma secondo una logica opposta a quella divina, cioè insegnando e praticando non l’amore e il rispetto della libertà, ma l’intolleranza e la violenza».