È con un certo orgoglio che aprendo i lavori del sinodo africano il segretario generale ha illustrato la realtà della Chiesa cattolica in Africa. I numeri innanzitutto, che dicono di una crescita rilevante e certamente poco nota. In tredici anni (nel 1994 si svolse la prima Assemblea speciale per l’Africa), i sacerdoti sono aumentati di quasi il 50% e sono oggi 35mila, i missionari laici sono raddoppiati (da 1847 a 3590), i catechisti cresciuti di un terzo, arrivando a 400mila, e i seminaristi erano 17.125 mentre oggi sono 24.729 (+44%).



La percentuale dei cattolici sulla popolazione, 17,5% e cioè 164 milioni è superiore alla media mondiale, che è 17,2%, mentre nel ’94 raggiungevano il 14,6%. E va notato che all’inizio del pontificato di Giovanni Paolo II (1978) i cattolici africani erano 55 milioni. È vero che i numeri in se stessi non indicano la “qualità” di un fatto incommensurabile come una fede religiosa. E dunque i numeri della crescita non possono coprire o attenuare le grandi problematiche della Chiesa in Africa come dell’Africa stessa.



Il Papa ne ha parlato nei suoi discorsi di apertura: materialismo pratico, fondamentalismo religioso, nuovi colonialismi, tribalismi e divisioni etniche, povertà, malattie, ingiustizia, corruzione. Questioni che riguardano tutti gli uomini africani, indistintamente; e non solo, perché certe responsabilità si estendono chiaramente al cosiddetto “primo mondo” che sta esportando i suoi “tossici rifiuti spirituali”. D’altra parte, sono gli stessi temi che in chiave laica e politica sono stati affrontati all’ultimo Meeting da premier e ministri di quattro paesi decisivi del continente: Kenya, Uganda, Sierra Leone e Tanzania.



Nel viaggio della primavera scorsa il Papa aveva potuto sperimentare di persona l’evidente e coinvolgente dinamismo della Chiesa africana, ma le ricorda di non farsene un vanto. La sua natura è di essere “famiglia di Dio” e il suo compito primario è l’evangelizzazione, che porta alla riconciliazione e alla pace (infatti ecclesiastici di rango fanno rilevare che al di là della superficie e dell’azione autopromozionale di alcune lobbies “interne”, a duecento anni dalla prima evangelizzazione le radici del cristianesimo africano restano piuttosto esili).

 

Immersi negli enormi problemi che dobbiamo affrontare, che richiedono sforzi giganteschi e costosi, dobbiamo in realtà riscontrare la semplicità di Dio “che si dona gratuitamente”. Le cose più grandi della vita infatti sono gratuite, e ciò vale anche per l’Africa, mentre tutti pensano che ogni discorso sul continente che non parli di soldi, investimenti e infrastrutture sia irreale.

 

È invece la gratuità di Dio che ha permesso ai cattolici (in molti casi attraverso una vera fraternità con quelli dei paesi ricchi) di sviluppare opere sociali ed educative che nessun intervento o aiuto istituzionale riesce a eguagliare: venti milioni di studenti nelle scuole, ottantamila nelle università, sedicimila centri sanitari tra cui oltre mille ospedali.

 

Opere ben poco conosciute e riconosciute, se all’epoca del viaggio papale certa informazione e certi governi sono riusciti a far pensare che la diffusione dell’Aids è colpa della Chiesa. Ma si sa che la realtà che abbiamo davanti tutti i giorni è la cosa che meno conosciamo e dalla quale meno vogliamo imparare.