Non c’è alcun dubbio che la vittoria del Sì al referendum sul Trattato di Lisbona in Irlanda costituisce un fatto estremamente positivo per il rilancio dell’Unione, anche per le importantissime riforme politico-istituzionali che il Trattato prevede, come ad esempio l’elezione diretta del Presidente del Consiglio in carica due anni e mezzo, con l’opportunità di vedere finalmente persone di grande leadership come Tony Blair alla guida della macchina europea.



Il referendum irlandese era l’ultimo grande ostacolo all’entrata in vigore del Trattato, sostenuto anche dalla maggioranza del Parlamento europeo. La nuova carta, infatti, rafforzerebbe molto il suo ruolo, riducendo le distanze tra i cittadini e le istituzioni. Tutta l’Europa deve ringraziare i cittadini irlandesi che con responsabilità hanno votato Sì evitando una vera e propria paralisi del progetto europeo.



Spero che se ne convincano anche il Primo ministro Ceco Vaclav Klaus e il polacco Lech Kaczynski, anche perché è auspicabile che la procedura di ratifica irlandese per via referendaria possa aiutare la prosecuzione degli sforzi per rendere possibile l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona entro il 1° gennaio 2010. Il Sì irlandese indica chiaramente che quello dell’Europa unita è l’unico progetto politicamente credibile che può portare vantaggi ai Paesi ma anche e soprattutto ai cittadini.

La settimana scorsa proprio su ilsussidiario.net John Waters scriveva che «nessuno oggi nella classe politica sa proporre una strategia di sviluppo dell’Irlanda al di fuori dell’UE, o partecipandovi in modo più limitato. Una simile idea è quasi inimmaginabile. Il modello economico scelto dall’Irlanda non può offrire alcuna attrattiva agli investitori esteri, da cui peraltro dipende, se oggi gli irlandesi non si dichiareranno disponibili a rientrare pienamente nell’alveo europeo».



Questo discorso vale, seppur in forme diverse, per tutti e ventisette i paesi membri dell’Unione. Questo legame indissolubile con l’Europa non è una condanna come qualcuno sostiene, ma una sfida che se viene vinta può trasformarsi in un’opportunità grandiosa.

 

Adesso occorre però procedere speditamente e con più coraggio anche da parte della Commissione europea, che essendo l’organo esecutivo è anche quello che deve assumersi le responsabilità maggiori. Può incominciare attraverso iniziative "pilota" coraggiose su più fronti, ad esempio per il lancio di eurobond, per la gestione comune del problema immigrazione e per le questioni energetiche.

 

Ma occorre soprattutto che si faccia tesoro tutti quanti degli errori gravi commessi negli ultimi vent’anni. Della presunzione che abbiamo dimostrato pensando di poter lavorare senza il consenso e il supporto dei cittadini e dell’opinione pubblica. Dell’avere preteso che questo progetto non guardasse al sentimento dei popoli, ma soltanto agli interessi di un’oscura burocrazia.

 

In questo senso è un segnale importantissimo che il 67% degli irlandesi abbia detto di Sì, anche perché, come ha ricordato il Presidente del Gruppo PPE Joseph Daul, «è la prima volta che i cittadini stessi di un paese europeo esprimono in maniera così inequivocabile il proprio desiderio di partecipare all’avventura europea». L’involuzione del progetto politico che chiamiamo Unione europea è riconducibile proprio a questi fattori.

 

L’auspicio è quindi quello di lavorare finalmente tutti insieme affinché il successo del Trattato di Lisbona sia l’inizio di una vita nuova per le nostre istituzioni, affinché le nuove generazioni possano una volta per tutte arrivare a percepire l’Europa come un bene indispensabile.