Si è svolta ieri a Vienna la Riunione plenaria del Consiglio permanente dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), durante la quale, insieme agli altri due rappresentanti permanenti contro le discriminazioni, ho redatto un bilancio del lavoro svolto in questi primi 11 mesi di incarico come Rappresentante permanente contro Razzismo, xenofobia e discriminazione con particolare riferimento alla discriminazione dei cristiani.



L’OSCE rappresenta una regione abitata da popoli con differenti origini, culture e confessioni religiose. In questo contesto, il modello del pluralismo rappresenta un riferimento doveroso per ogni Stato membro. Il pluralismo non è qualcosa che noi possiamo ritenere garantito per sempre, ma è un processo che richiede un lavoro costante nonché uno sforzo comune degli Stati membri.



Sin dal primo giorno di mandato, siamo stati testimoni di una crisi economica senza precedenti che ha interessato tutta la regione OSCE. Tuttavia alcuni gruppi hanno subito l’impatto della crisi in modo più profondo rispetto ad altri. A causa della loro posizione vulnerabile, gli effetti della crisi economica sui migranti, sui rifugiati e su altre minoranze sono stati devastanti e hanno contribuito a peggiorare non poco una situazione che era già insostenibile in partenza.

Istituzioni come OSCE e ODHIR (ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani) devono quindi assumere un ruolo centrale collaborando con gli Stati in particolare per rafforzare la legislazione in materia, per la raccolta dei dati e per lo sviluppo di programmi educativi.



La seconda parte del mio intervento si è focalizzato sui cristiani. La corte europea per i diritti umani ha prodotto una sentenza che impedisce di esporre il crocifisso nelle scuole, disconoscendo duemila anni di storia di un paese e calpestando quindi l’identità del suo popolo. Questa sentenza, è comunque il messaggio di un’istituzione inutile, il Consiglio d’Europa, che non ha nulla a che vedere con l’Unione europea.

La Commissione europea ha infatti precisato puntualmente che «si tratta di una decisione che viene da un’istituzione che non appartiene all’Unione europea». Un’ istituzione che più che promuovere i diritti umani non fa che oscurarli. Ma nel quotidiano, all’interno delle nostre società, esistono discriminazioni nei confronti dei cristiani anche in Europa?

La risposta è purtroppo affermativa e le proporzioni sono tutt’altro che trascurabili. Si tratta di un fenomeno consistente che interessa non solo i paesi nei quali il cristianesimo è una minoranza, ma anche quelli in cui è maggioranza.

Le discriminazioni possono essere intenzionali (quando c’è una netta posizione anticristiana), o non intenzionali, quando le leggi di qualche Governo apparentemente neutrali, risultano inique nei confronti dei cristiani.

 

Un’importante conclusione cui si è arrivati durante l’incontro sulla libertà religiosa a cui ho partecipato lo scorso luglio è che intolleranza e discriminazione delle comunità religiose sono strettamente collegate con le limitazioni della libertà di religione o di credo.

 

In alcune parti dell’area OSCE, le chiese cristiane e i membri di altre religioni si trovano a dover fronteggiare problemi basilari, come la proibizione di acquisire uno status legale, pregare liberamente o diffondere letteratura.

 

In questo contesto, su richiesta del Ministro degli esteri Frattini, il Consiglio europeo di novembre preparerà una dichiarazione formale sulla libertà religiosa, con particolare riferimento alle persecuzioni che subiscono le minoranze cristiane nel mondo.

 

L’impegno delle (vere) istituzioni europee che ha come obiettivo la creazione di un quadro formale di salvaguardia della libertà di religione rappresenta un precedente molto positivo, che conferma una crescente attenzione e una nuova sensibilità istituzionale per questo problema.