Leon Wieseltier, redattore letterario di The New Republic, ha scritto un articolo sull’atteggiamento di Obama verso la politica estera che, a mio parere, aiuta a capire meglio quale sia il suo modo di pensare, la sua ideologia potremmo dire. Questo può aiutare anche a capire perché, a un anno dalla sua storica vittoria elettorale e dal forte apprezzamento popolare, aumenta sempre più il numero di coloro che sembrano insoddisfatti del suo operato come presidente, sia in politica interna che estera.
Wieseltier scrive: “Obama crede soprattutto nella comune intesa e la ricerca di un terreno comune è il suo metodo più caratteristico nel far politica e nel governare. La sua diplomazia consiste nel sottostimare le differenze e sovrastimare le somiglianze”.
Sono anch’io dell’opinione che la chiave del pensiero di Obama stia nel tentativo di riconciliare differenze e somiglianze, o individualismo e comunità. Presi radicalmente, questi concetti sono tra loro del tutto opposti e la politica consiste appunto nella ricerca del punto in cui essi diventano in qualche modo interconnessi.
È ciò che si chiamava “triangolazione”, di cui il presidente Clinton era considerato un genio. Per Clinton era un metodo applicato ai conflitti politici per trovare un “terreno comune” tra interessi politici contrastanti, mentre per Obama sembra andare oltre la politica per arrivare alla realtà stessa, non è una questione di politica, ma di filosofia, più specificatamente si potrebbe dire di antropologia filosofica.
Al Cairo e all’Onu, ricorda Wieseltier, Obama “sostenne che non possiamo essere ‘definiti dalle nostre differenze’” e commenta: “In realtà il definire è proprio un lavorare sulle differenze”. Invece, “per Obama la differenza è la sorgente dei conflitti”. Al Cairo, continua, Obama disse che “fino a quando le nostre relazioni saranno definite dalle nostre differenze, noi continueremo a dare forza a chi semina odio invece di pace”. Wieseltier commenta: “Questa concezione di una bellicosità insita nella differenza è strana in uno che esalta la diversità”.
Obama si rende conto che la differenza è alla radice della diversità e, dato che oltre la diversità ama anche la solidarietà, non riesce a capire come poter conciliare quest’ultima con la diversità, se non “riducendo” le domande fondamentali di ciascuno, fino a quando non trova “un terreno comune” dove si può trovare una sorta di collegamento tra gli interessi.
Nel numero di questa settimana di Newsweek, il direttore Jon Meacham loda quello che ritiene uno sviluppo del pensiero di Al Gore su come combattere il riscaldamento globale. Gore, dice, nel suo nuovo libro Our Choice (La nostra scelta) riconosce che il modo migliore per combatterlo è di rendere economicamente vantaggiosa la lotta contro di esso. Gore, afferma, si è reso conto che “i grandi cambiamenti avvengono attraverso l’attività politica ed economica”, cioè quando il proprio interesse e la virtù coincidono.
Sebbene dichiari che Obama dovrebbe imparare da questo nuovo Gore, sia Gore che Obama hanno lo stesso problema: non sanno come mettere d’accordo unità e differenze senza ridurre in qualche modo le domande di fondo di ognuno, per arrivare a un “terreno comune” di desideri soppressi. Da ciò deriva la insoddisfazione di molti che avevano creduto, come nota Wieseltier, che Obama “fosse il consacrato a risolvere” questo problema.
Wieseltier cita Howard Thurman: “Esiste un fondamento esterno a noi stessi per la speranza e il sogno di rapporti armoniosi tra uomini di qualsiasi razza, stato o condizione?” E aggiunge: “La storia è fatta selettivamente, localmente, nel particolare. La domanda è, qual è la comunanza che conta per noi, e quando, e perché?”.
Vorrei suggerirgli che la risposta si trova nell’esperienza dell’elezione che definisce il popolo ebreo, il suo popolo, e che io ho trovato nel mistero della Chiesa.