Il 3 novembre scorso la BBC ha ricevuto una lettera da Dennis e Flora Milner, di 83 e 81 anni, una coppia di Newbury in Berkshire, nella quale dicevano di avere “scelto di terminare pacificamente la loro vita” per evitare “una morte vivente”. La polizia ha confermato il ritrovamento dei loro corpi il 1° novembre. Forse l’aspetto più scioccante di questa tragedia è che entrambi erano in buona salute e non avevano nemmeno bisogno di costanti cure mediche.
Apparentemente, il motivo che li ha spinti a darsi la morte è stato il desiderio di richiamare l’attenzione sul “serio dilemma umano” affrontato dai malati terminali e dagli altri che vogliono stabilire da soli la loro morte. “Oggi ci è negato quello che crediamo essere un nostro diritto umano fondamentale: terminare le nostre vite, in casa nostra, a nostra scelta, coi nostri cari attorno a noi, senza che qualcuno abbia ad affrontare problemi legali o essere sottoposto a giudizio”, hanno scritto nella loro nota alla BBC.
Purtroppo, i Milner non sono i soli. Per molti anni vi sono state forti lamentele sul fatto che le leggi inglesi, secondo le quali il suicidio assistito è illegale, abbiano forzato la gente ad andare all’estero e morire da sola in istituzioni come la clinica “Dignitas” in Svizzera, per impedire che parenti e amici fossero messi sotto accusa al loro ritorno. Si ritiene che circa un centinaio di cittadini inglesi si siano suicidati alla clinica “Dignitas”, inclusi il ventitreenne Daniel James, rimasto paralizzato in un incidente di rugby, e il direttore d’orchestra Edward Downes insieme a sua moglie.
Il rischio che suo marito potesse essere accusato per averla aiutata a morire ha suggerito a Debbie Purdy, ammalata di sclerosi multipla, di aprire un caso giudiziario che chiarisse la situazione. Il 30 luglio la Camera dei Lord – il più alto tribunale inglese prima della recente creazione della Corte Suprema – ha emesso un verdetto in suo favore. Alla fine di settembre, il pubblico ministero Keir Starmer ha pubblicato nuove linee guida al fine di stabilire le circostanze in cui può essere messo sotto accusa chi aiuta qualcuno a suicidarsi.
Bizzarramente, Debbie Purdy – quando ha vinto la causa – ha esclamato “ho riavuto indietro la mia vita”. Come altri, sembra credere che la gente debba essere autorizzata a morire come vuole. Questo significherebbe far coincidere la vita umana con la volontà individuale, facendo della nostra volontà soggettiva la misura di ogni cosa.
Il problema di questa posizione è che l’esistenza umana non avrebbe più un valore di per sé. Si assume semplicemente che la libertà di scelta individuale e la ricerca della felicità siano più fondamentali che la santità della vita stessa. Evitare il dolore e massimizzare il piacere sono visti come il solo principio etico sensato da trattenere. Questo è poco più che volgare utilitarismo.
Suggerire che gli individui abbiano giurisdizione sovrana sul possesso della propria vita è negarne il carattere sacro e negare che ogni forma di esistenza ci è già stata, da sempre, data. Indipendentemente da ogni credo religioso o altro, la vita è un dono incondizionato che non possiamo mai possedere – non è un contratto che possiamo semplicemente rescindere.
CONTINUA A LEGGERE L’ARTICOLO, CLICCA SUL SIMBOLO >> QUI SOTTO
Come John Milbank ha rimarcato in una lettera al Daily Telegraph, pubblicata in forma ridotta il 6 agosto 2009, rigettare la sacralità della vita è “abbandonare quella che è l’intera base dell’umanesimo occidentale da migliaia di anni. Si tratta infatti di rimpiazzare l’ideale nobile dell’umanità con l’ideale bizzarro di un animale che consuma e si autoconsuma. Una simile creatura, se contassero solo libertà e convenienza, potrebbe in effetti legittimamente cercare la morte degli altri (per compassione o per cattiveria) e la sua stessa morte. Solo il rispetto per la libertà e la convenienza degli altri potrebbero agire come un limite, e tuttavia il rispetto di questo limite sarebbe meramente un problema di ritorno personale e pertanto potrebbe essere ignorato, qualora ve ne fosse l’interesse. In realtà queste restrizioni devono essere imposte dallo Stato”.
Questo spiega perché ogni rilassamento nelle leggi dello Stato sul suicidio assistito è così problematico. Invece di proteggere il carattere sacro della vita, lo Stato diverrebbe complice nel rendere la libertà di scelta individuale un “feticcio” e nel difendere la volontà soggettiva di alcuni che non si rendono conto che l’utilitarismo non è nulla di più che nichilismo.
Il dovere e la responsabilità dei cristiani e di altri umanisti è di opporsi a un indiretto incoraggiamento o sostegno al suicidio assistito da parte dello Stato. Citando ancora John Milbank: “Tuttavia, lo stesso Stato, se governato da queste creature auto inventate, non avrebbe scrupoli nel manipolare sia la vita che la morte per aumentare il proprio potere e libertà di operare. In questo modo, il progressismo su vita e morte sta portando a una nuova forma di totalitarismo biologico. Quelli fra noi, sia radicali che conservatori, che si aggrappano ancora all’umanesimo tradizionale contro la biopolitica progressista, devono ora affermare con coraggio che la democrazia non è pertinente in questo contesto. Le opinioni (manipolate) della maggioranza non possono rovesciare i principi di una legge naturale che garantisce all’esistenza umana un valore unico. E ogni legge o sentenza che, in opposizione a questi principi, neghino l’errore insito nel suicidio e nel favorirlo devono essere visti come completamente mancanti di legittimità dai pochi custodi rimasti del buon senso occidentale”.
Inoltre, per resistere al non-umanesimo illiberale secolarizzato, i cristiani e gli altri devono sostenere e aiutare a creare nuove forme di reti di supporto per i malati e gli anziani, perché né il sistema sanitario pubblico né quello privato saranno sufficienti ad averne cura. Vi è bisogno invece di un sistema di cura comunitario, gestito da istituzioni civiche che siano radicate in loco e possano provvedere ad un servizio personale basato sulla fiducia e sulla reciproca e comune fratellanza. Le Chiese e alcune organizzazioni secolari nel settore del volontariato offrono già qualcosa di simile, ma con l’invecchiamento della popolazione e il continuo declino della famiglia allargata, c’è una disperata richiesta di nuove forme di sostegno.
CONTINUA A LEGGERE L’ARTICOLO, CLICCA SUL SIMBOLO >> QUI SOTTO
La paura di essere lasciati da soli senza un’assistenza della comunità sembra essere, infatti, una delle ragioni per cui alcuni sentono di non avere altra scelta che l’uccidersi. La figlia di Dennis e Flora Milner ha detto alla BBC che i suoi genitori erano in salute, ma avevano paura di non essere in grado di badare a se stessi: “Penso che abbiano preso questa decisione perché hanno avuto una vita molto positiva, hanno goduto della vita. Hanno sempre detto che volevano anche una morte positiva, volevano una buona morte”.
È chiaro che un cambiamento della legge sul suicidio assistito rischia di promuovere questa cultura di morte. Tutto ciò richiama la richiesta di Peter Singer di “de-santificare” la vita umana e di estendere l’eutanasia ai “bambini con ritardi gravi e irrecuperabili” e a tutte quelle forme di vita, umana e non, le cui condizioni mediche causano “sofferenza a tutti quelli coinvolti con beneficio per nessuno” (Peter Singer, “Unsanctifying Human Life: Essays on Ethics”, Oxford: Blackwell, 2002, pag. 225).
Come sua logica conclusione, la negazione che ogni vita è sacrosanta finisce per sostenere la moderna “biopolitica”, idolatrando il potere di definire la vita “spoglia” e di toglierla a coloro che l’hanno ricevuta come un dono divino di amore e di grazia.