È giunto il tempo delle strenne natalizie. Quest’anno i londinesi, per la prima volta, potranno trovare sotto l’albero di Natale un nuovo regalo: un “divorce voucher”. Sì, avete capito bene, si tratta di un buono che consente di utilizzare una prestazione professionale legale in materia di divorzio: 125 sterline per 30 minuti e 250 sterline per un’ora di consulenza. Iva compresa.
La “brillante” idea è stata partorita dallo studio legale Lloyd Platt & Co., specializzato, ça va sans dire, in diritto di famiglia. Vanessa Lloyd Platt, una delle titolari del prestigioso studio, conferma con soddisfazione che da quando è partita l’iniziativa, qualche settimana fa, sono già più di 50 i voucher acquistati da mariti, mogli e amanti. Tra gli interessati ci sono anche amici e parenti di coppie in crisi.
Di fronte all’accusa di trasformare cinicamente una tragedia umana in un regalo, la bella Vanessa Lloyd Platt si è limitata a constatare che «Natale è davvero un periodo stressante per le famiglie e lo dimostra il fatto che, tutti gli anni, si registra sempre un gran numero di richieste di divorzio nel mese di gennaio». Per questo l’iniziativa del voucher «risponde a una vera esigenza delle persone e sta riscontrando un inaspettato interesse».
Mentre leggevo, tra il serio e il faceto, l’articolo del Telegraph che riportava questa notizia, mi sono venuti in mente due personaggi inglesi che hanno affrontato il tema drammatico della crisi coniugale con un’interessante prospettiva laica. Niente a che vedere con religione, fede, Chiesa e sacramenti.
Il primo è John Ware, celebre giornalista televisivo che ama definirsi «privo di qualunque bagaglio ideologico» e autore del documentario “La Morte del Rispetto”, sulla crisi familiare in Gran Bretagna, andato in onda sul canale BBC2 alle 23:20 perché il tema è stato considerato «too dark», troppo pesante, per la prima serata.
Ware parte da una forte critica a quella che lui definisce la «sperimentazione individualista del dopoguerra», i cui frutti hanno portato a una «fragmented society». Secondo Ware, infatti, «tutto è cominciato negli anni ’70 con il crescere del numero dei genitori non sposati, dei genitori single, dei genitori conviventi o dei genitori acquisiti» e «in un simile contesto è nata una generazione di figli che si è trovata allo sbando».
Responsabile di questa tragedia sociale è stata «la furia iconoclasta del ‘68 che ha distrutto diverse cose negative ma anche tante positive come, ad esempio, l’istituto del matrimonio». Il punto è che ora, stando al giornalista della BBC, «nonostante gli evidenti effetti benefici del matrimonio, soprattutto per i figli, il governo ha sempre evitato un dibattito serio sull’argomento» e si è rassegnato alla «ineluttabilità di un “irreversible social trend”, le cui rilevanti conseguenze sembra si debbano inevitabilmente subire».
Perciò il laico John Ware sostiene che «l’unico modo per ribaltare il problema è comprendere la stretta relazione che esiste tra la frammentazione della società e il declino dell’istituto matrimoniale».
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L’altro personaggio che affronta il tema non in chiave teologica o fideistica ma con un approccio definito di “pragmatic common sense”, è uno che di divorzi se ne intende. Si tratta del celebre giudice Sir Paul Coleridge, quello che ha trattato, tra l’altro, anche il complicato divorzio tra Heather Mills and Sir Paul McCartney. Uno che in materia ne ha viste di tutti i colori, operando, tra l’altro, nel Paese che ha il più alto tasso di divorzi del mondo.
Proprio per questo Coleridge è giunto alla conclusione che il matrimonio rappresenti l’unico «gold standard» della relazione tra un uomo e una donna e anche l’unico argine al «breakdown» della famiglia britannica, fenomeno che sta assumendo dimensioni «epidemiche», e che rappresenta «materia di forte preoccupazione per tutti i soggetti coinvolti, a cominciare dai più deboli, ovvero i figli».
Coleridge parla di un «totale e incontrollato “liberi tutti”, in cui l’unico parametro di comportamento è quello dell’essere fedeli a se stessi, ai propri desideri ed ai propri bisogni». Un individualismo esasperato che sta distruggendo la trama del tessuto sociale.
Da tale considerazione nasce, tra l’altro, la proposta lanciata dal giudice di costituire una commissione nazionale per affrontare i risvolti sociali del divorzio, problema che sta assumendo «una rilevanza pubblica paragonabile al tema della sicurezza o della crisi economica». Che per Coleridge non sia una questione ideologica lo dimostra il fatto che egli, pur sottolineando la prevalenza del modello sociale del matrimonio, non è sfavorevole al riconoscimento di alcuni diritti alle coppie di fatto con una consolidata convivenza. Il punto è quello di non distruggere la coesione sociale retta dalla famiglia.
La trovata del “divorce voucher” di Vanessa Lloyd Platt conferma, in realtà, il rischio della banalizzazione di un fenomeno sociologico sempre più preoccupante. Ma la migliore risposta a questa bislacca iniziativa l’hanno data i bambini.
L’anno scorso è stato effettuato un sondaggio tra 1.500 bimbi britannici al di sotto dei dieci anni, attraverso il quale è stato chiesto a ciascuno di loro che cosa avrebbe voluto abolire se fosse diventato padrone del mondo. Significativo che tra le prime dieci cose da vietare ci fossero il divorzio e gli atti di bullismo. Due forme di violenza che gli occhi distratti dei genitori spesso evitano di guardare.