Come era prevedibile la guerra di Gaza è scivolata via dalle prime pagine dei giornali. La crisi economica, la querelle contro la Chiesa cattolica per un presunto antisemitismo e, oggi, il supplizio al quale viene condannata Eluana Englaro hanno cancellato dalla nostra attenzione (e forse anche dalla nostra memoria) quanto è accaduto non più tardi di un mese fa. Come a Natale, ogni giorno razzi e colpi di mortaio partono sporadicamente dalla Striscia e ogni giorno si continua a morire: un miliziano di Hamas, un soldato israeliano e così via. Il punto è che, fino a quando si tratta di due o tre morti al giorno, la questione appare priva di importanza, almeno in apparenza, mentre la diplomazia internazionale concentra i propri sforzi verso il raggiungimento di un accordo fra Israele e Hamas. Per cercare di capire quali potrebbero essere i futuri sviluppi della situazione, bisogna andare oltre i media convenzionali, magari navigando in siti che offrono notizie solo in parte attendibili o, addirittura menzogne smaccate. Eppure, anche nel caso in cui la notizia sia errata o, deliberatamente falsa, è ugualmente interessante tentare di capire i motivi di tale falsità: motivi che possono essere quelli di una guerra psicologica (psyops) a supporto di quella che si svolge sul campo di battaglia vero e proprio.



Il sito israeliano www.debka.com è uno dei più interessanti e tempestivi e una sua lettura quotidiana è quasi un must per chi si occupi di guerra al terrorismo o in Medio Oriente. L’interesse non viene meno neppure quando vengono spacciate menzogne come quella che, in data 10 dicembre 2008, dava la portaerei americana Stennis diretta verso il Golfo Persico, per unirsi ad altre task force già presenti nella zona. In realtà la CV Stennis, all’epoca, si trovava nella propria base californiana ed è partita per il Pacifico solo a gennaio inoltrato. Sempre lo stesso sito, vicino ai servizi segreti israeliani, affermava, ancora il 26 dicembre, che non erano previste azioni militari dello Tsahal contro Gaza. In questo caso la falsità della notizia era funzionale all’effetto sorpresa sfruttato dagli israeliani nei raids aerei del giorno dopo.



La rivelazione più sconcertante di queste ultime settimane riguarda invece il cargo iraniano Iran-Hedayat, che trasporterebbe 60 tonnellate di armi destinate all’arsenale di Hamas. La notizia venne data il 20 gennaio scorso e, nei giorni successivi, venne rivelato come gli americani avessero intercettato la nave ma l’avessero lasciata andare perché diretta verso la Siria. Il cargo, battente bandiera cipriota, avrebbe uno scompartimento corazzato che non è stato possibile aprire. Per farlo sarebbe stato necessario portare la Iran-Hedayat in un porto ben attrezzato e procedere all’apertura ma nessun paese dell’area intendeva assumersi una tale responsabilità. Così, il 28 gennaio, il capo di Stato Maggiore delle forze armate americane, ammiraglio Mike Mullen, ha pubblicamente ammesso che la nave iraniana è stata lasciata andare verso Cipro, attraccando al porto di Limassol accanto a una nave da guerra russa, la Admiral Chabanenko.  



Il fatto strano è che la Risoluzione ONU 1747 del 14 marzo 2007 prevede ai commi 5 e 6 il divieto di esportare o importare armi: per cui non era ben chiaro per quale motivo una nave iraniana, battente bandiera cipriota e ribattezzata Monchegorsk, potesse andarsene a spasso per il Mediterraneo consegnando armi alla Siria, la quale le avrebbe recapitate ad Hamas. Cosa può contenere la nave nei suoi scomparti blindati? La principale preoccupazione israeliana riguarda due ipotesi: a) missili balistici capaci di colpire la centrale nucleare di Dimona; b) missili antinave C-802 che, colpendo i pattugliatori israeliani, riuscirebbero a rompere il blocco navale attorno a Gaza. In nessuno dei due casi il governo israeliano permetterà che questa nave arrivi in Siria.

Si tratta, in altri termini, di una situazione simile alla crisi dei missili cubani del 1962. Anche in questo caso un attacco alla Iran Hedayat scatenerebbe uno scontro globale ma il fatto più notevole è che, dopo alcuni passaggi, la notizia è sparita. Ugualmente ha avuto poco risalto la gaffe dell’ambasciatore israeliano in Australia che, il 31 gennaio ha predetto un attacco all’Iran “in the upcoming month” per poi chiedere di spegnere le telecamere. Una dichiarazione che sa più di “psyops” che di “gaffe” vera e propria anche se la vittoria della destra di Nethanyau incrementerebbe le possibilità di un attacco dell’aviazione israeliana anche senza l’appoggio o il consenso americano.

Poi, sabato sera, una notizia confortante: il segretario delle Nazioni Unite, Ban ki Moon ha incaricato le autorità cipriote di sottoporre il mercantile iraniano a un’accurata perquisizione, in ossequio alla risoluzione 1747. Tale operazione viene supportata da personale americano ed europeo ricorrendo anche a subacquei che esplorano le fiancate della nave. È questa, evidentemente, la strada da seguire per evitare una nuova guerra, ossia un’operatività effettiva dell’ONU che fronteggi e prevenga sia le iniziative iraniane e l’antica, inveterata tentazione di Israele di fare da sé, solo contro il mondo, ricorrendo alla forza delle armi senza prima ricorrere alla diplomazia.