Leggendo contemporaneamente i giornali italiani e quelli americani in questi giorni, salta all’occhio uno stridente contrasto: mentre in Italia il Presidente della Repubblica rifiuta di firmare un decreto legge presentato dal Presidente del Consiglio in nome della laicità dello Stato e ci si straccia le vesti di fronte alla supposta ingerenza dei Vescovi nel dibattito pubblico, il presidente degli Stati Uniti inaugura con grande fanfara mediatica il ministero delle iniziative basate sulla fede, dopo aver invitato il pastore evangelico Rick Warren a pregare a suo nome durante la cerimonia di inaugurazione, e dopo aver partecipato a numerose cerimonie ufficiali di preghiera. Cosa sta succedendo? Forse gli Stati Uniti hanno smesso di essere un paese laico? Non era Bush l’integralista religioso? E Obama non dovrebbe fare qualcosa “di sinistra”?



È opportuno, a questo proposito, ripercorrere per accenni la storia del concetto di laicità dello Stato (o della separazione fra Stato e Chiesa), partendo dalla sua origine, ovvero dall’editto di Costantino (313), che garantiva “ai Cristiani e a tutti gli altri la libertà di seguire la religione che a ciascuno apparisse preferibile”, rinunciando, per la prima volta nella storia, all’imposizione di una religione di Stato. Nella formazione giuridica dell’editto di Milano, “la reverenza offerta alla Divinità” viene menzionata esplicitamente “tra le cose che potevano portare vantaggio all’umanità” e quindi all’Impero: la laicità dello Stato viene quindi stabilita come tutela della libertà religiosa dell’individuo, a vantaggio dello Stato stesso. Questa intuizione rivoluzionaria di Costantino sarà destinata ad una storia complessa e laboriosa, che porterà alla fine alla lotta per le investiture e al concordato di Worms (1122), nel quale saranno gettate le basi per la moderna separazione fra Stato e Chiesa.



Le due grandi rivoluzioni del XVIII secolo (quella americana del 1775 e quella francese del 1789) diedero risposte completamente diverse alla problematica del rapporto fra Stato e Chiesa: la laicité francese si concretizzò nella confisca dei beni ecclesiastici, nella persecuzione di religiosi e semplici fedeli e nella distruzione di uno sterminato patrimonio monastico; al contrario, la Dichiarazione di Indipendenza americana pose la libertà religiosa a fondamento della nascente nazione (tra l’altro servendosi di una formulazione sorprendentemente simile a quella di Costantino) e la susseguente carta costituzionale istituì una serie di meccanismi atti a garantire la separazione fra Stato e Chiesa: non per escludere la Chiesa dal dibattito pubblico, ma anzi per proteggere l’indipendenza delle istituzioni religiose dal controllo degli Stati e del governo. Questo ci fa capire come negli Stati Uniti nessuno si scandalizzi per le preghiere o le iniziative “basate sulla fede” di Obama, che sarebbero ormai impensabili in Europa.



La dialettica fra lo Stato e i diritti fondamentali dell’individuo è tuttora irrisolta nel Vecchio Continente: da un lato c’è chi vorrebbe riconoscere gli Stati come sorgente unica dei diritti dei cittadini, negando ad altri interlocutori la possibilità di intervenire nel dibattito e cancellando eventualmente la tradizione religiosa che sta alla base dell’Europa stessa; dall’altro c’è chi vorrebbe affermare l’esistenza a priori di un certo nucleo di diritti fondamentali dell’individuo, non decisi dagli Stati ma dei quali gli Stati dovrebbero farsi garanti, riconoscendo l’appartenenza religiosa come fattore fondamentale del dibattito civile e legislativo. L’Italia, grazie al suo legame straordinario con la Chiesa Cattolica, si trova in modo drammatico davanti a questo bivio: e presto dovrà scegliere se abbracciare un concetto astratto di laicità, che si fa nemico della propria tradizione e della propria identità, o se costruire un autentico Stato laico, basato sulla difesa dell’esperienza cristiana tra le cose che possono portare vantaggio all’umanità.