Una buona prosa giuridica. E, finalmente, in questo regno di Spagna, la democrazia non è più solamente una questione di maggioranza, ma ha anche a che fare con il pluralismo. La sentenza del Tribunale Supremo sul ricorso della giunta dell’Andalusia riguardo l’insegnamento dell’Educazione alla Cittadinanza, resa pubblica martedì, genera un’interessantissima dottrina sui diritti e sui limiti che lo Stato ha come educatore.
Nella sentenza di Luis María Diez-Picazo si utilizza come criterio superiore del nostro ordinamento giuridico un pluralismo che impedisce allo Stato di imporre una determinata ideologia. È un principio giuridico costituzionale decisivo non solo per la questione di cui si trattava, ma anche per altre decisioni politiche che, sostenute con la maggioranza dei voti, vogliono imporre un modo unico di vedere le cose.
Questo pluralismo ha, secondo il sesto fondamento giuridico, come nucleo principale « il riconoscimento dell’innegabile fatto della diversità di concezioni sulla vita individuale e collettiva, che i cittadini possono formarsi nell’esercizio della loro libertà individuale, e la necessità di stabilire alcune basi giuridiche e istituzionali che rendano possibile l’esternazione e il rispetto di queste diverse opinioni».
Lo Stato ha il diritto di educare ai principi costituzionali e ai valori che li sostengono, ma non può ricorrere a nessuna forma di proselitismo. «La democrazia – continua il testo – oltre a essere un meccanismo formale per la costituzione dei poteri politici, è uno schema di principi e di valori». Bisogna distinguere, dice la sentenza, «tra i valori che costituiscono il substrato morale del sistema costituzionale e che compaiono raccolti in norme giuridiche vincolanti» e «dall’altro lato la spiegazione del pluralismo della società». In questo secondo caso «sarà in vigore il divieto di indottrinamento che pesa su di esso per la neutralità ideologica a cui viene costretto».
L’attività educativa dello Stato all’interno dello spazio delle convinzioni ideologiche, religiose e morali non può essere di indottrinamento. «Dentro – conclude il sesto fondamento giuridico – lo spazio proprio dei convincimenti ideologici, religiosi e morali individuali, in cui esistono differenze e dibattiti sociali, l’insegnamento si deve limitare a esporli e a informare su di essi con neutralità, senza nessun indottrinamento, in modo da rispettare così lo spazio di libertà sostanziale della convivenza costituzionale».
La sentenza sarebbe potuta andare più in là. Poteva riconoscere che il pluralismo non è solamente fuori dai valori costituzionali. C’è un sano pluralismo che da differenti tradizioni serve da supporto ai principi della nostra Carta Magna. E inoltre la sentenza è ingenua perché pensa possibile una neutralità educativa all’interno delle convinzioni.
In ogni caso, è un’eccellente strumento per mettere un limite alla assolutizzazione delle maggioranze, per difendere il pluralismo o, che è lo stesso, la laicità.