L’Irlanda sta cercando la strada per tornare a un approccio più equilibrato al materialismo, dopo essere stata “consumata dal consumismo”, ha affermato il presidente irlandese Mary McAleese durante la sua visita a Phoenix, Arizona, e il popolo irlandese sta pagando un prezzo elevato derivante da uno spostamento radicale nei valori. «Penso che ognuno di noi debba dire con sincerità che eravamo tutti consumati dal consumismo», ha detto.



«Da un certo punto in poi, abbiamo cominciato a pensare che non saremmo stati felici se avessimo posticipato le nostre gratificazioni. Dovevamo avere tutto ora, subito, e credo che abbiamo pagato un prezzo molto, molto caro per questo cambiamento così radicale. Adesso è probabile che il pendolo si sposti verso l’altro estremo e non sarà un male. Veniamo da un periodo molto squilibrato, che non ci ha però assicurato quella pace della mente e del cuore, quella soddisfazione che desideravamo. Ora dobbiamo trovare la nostra strada per tornare a un modo di vivere più profondo e, è possibile, più modesto».



C’è molto di vero in tutto questo, ma anche qualcosa che non lo è. In Irlanda è un ritornello diffuso che il collasso dell’economia ci porterà a un miglioramento nel sistema di valori, che queste difficoltà possono essere motivo di speranza per una crescita spirituale. Non ne sono così sicuro.

A mio parere, ci sarebbero voluti ancora uno o due anni di prosperità prima che potesse aver inizio una progressiva e generale spinta a una maggiore comprensione di noi stessi. Sapevamo che i bei tempi non sarebbero durati per sempre e ci stavamo preparando a un graduale cambiamento, ma il crollo è avvenuto troppo inaspettatamente perché si possa trarne qualcosa di positivo. E, certamente, la crisi può essere peggiore in Irlanda che altrove, soprattutto perché l’Irlanda è piccola e con un’economia aperta, esposta a ogni soffio di vento che investa l’economia mondiale.



Tuttavia, adesso che il peggio è iniziato, non siamo ancora disposti a considerare come raggiungere un equilibrio migliore tra il benessere materiale e i valori più di fondo, ma abbiamo tuttora solo un desiderio: essere di nuovo ricchi, ciò che vogliamo è solo di riportare le cose a come stavano.

Nell’ultimo prospero decennio ci è accaduto qualcosa di profondo e dobbiamo trovare la via per descrivere sinceramente a noi stessi questa esperienza. Il problema è che siamo portati a vedere le cose, come al solito, in termini morali. Il modello di cristianesimo cui siamo abituati in Irlanda tende, purtroppo, a enfatizzare la distinzione morale tra ricchezza e povertà circa nello stesso modo in cui la moralità sessuale viene contrapposta alla libertà sessuale. Ci si precipita, quindi, a condannare chiunque conquisti, o aspiri a conquistare, qualche cosa. Di conseguenza, negli scorsi anni la popolazione si è divisa essenzialmente in tre gruppi: chi ha cominciato a migliorare la propria situazione materiale; chi non ha avuto questa opportunità e ha trasformato il fallimento in una specie di patrimonio morale, gratificandosi con il proprio virtuoso ascetismo; chi, realmente povero, avrebbe voluto uscire dalla povertà.

Ci si comincia a chiedere: come è successo? Come siamo finiti da vetrina dell’Europa ad esserne ancora un caso disperato? Il nostro naturale pessimismo nazionale, tanto deriso negli anni della Tigre, non sarebbe stato una guida migliore delle chiacchiere dei banchieri e di altri imbroglioni che ci hanno portato in questo pasticcio?

Adesso che la recessione è arrivata, l’idea che ci debba riportare su “valori più fondamentali” si sta dimostrando una teoria non verificata e stiamo scoprendo che quando un paradigma morale viene applicato a valori materiali si crea solo confusione. Ed emerge una cultura che ha perso la sua via non solo rispetto al materialismo, ma forse ancor di più rispetto all’attuale significato di cristianesimo. Sarebbe più utile se, per un momento, si parlasse meno di morale, valori e spiritualità e più di speranza. La speranza è il cuore del messaggio cristiano, ma la potenza di questo concetto è stata affievolita, nella nostra epoca, dal successo dell’uomo nel creare sistemi che sembrano rispondere ai bisogni umani, suggerendo falsamente la possibile eliminazione dei limiti.

L’implosione economica degli ultimi mesi ne testimonia la follia: i sistemi umani sono imperfetti e la speranza che generano è altrettanto fragile. La speranza, in realtà, conosce una sola sostanza: la Speranza con la maiuscola, la Speranza eterna. La nostra cultura ha cercato di sostituire questa Speranza eterna con speranze intermedie, minori, che permettono alla società di funzionare, dietro a una moda, e consentono a forme minori di speranza di essere vendute a gente dal cui orizzonte è stata rimossa la Grande Speranza. Questo è in sintesi quanto ci è successo nell’ultimo decennio. La Tigre Celtica non era di per sé un’occasione di peccato. Al contrario, il fatto che così tanti irlandesi si siano così abbandonati agli aspetti materiali dice, paradossalmente, che il desiderio di speranza è rimasto inesaudito, a dispetto di tutto. Il problema è che abbiamo indirizzato il nostro desiderio nella direzione sbagliata. Questa è quindi l’opportunità vera rappresentata da questo momento di risveglio.

Il constatare che le speranze fabbricate dagli uomini siano apparse in tutta la loro inconsistenza può portarci alla disperazione o ci può condurre a vedere, al di là, la Grande Speranza finora oscurata da queste speranze infinitamente più piccole. Dipende da come guardiamo alle cose e di come ne parliamo, ancora più importante. Non è più il tempo delle vanterie, della pietà o degli opportunismi ideologici; è il tempo di essere comprensivi con noi stessi, di aiutarci l’un l’altro a capire veramente cosa è successo e come non sia, dopo tutto, né la fine del mondo, né necessariamente l’inizio di un periodo più “spirituale”.

(1 – Continua)