Mercoledì scorso la Camera dei Deputati ha approvato le conclusioni sulla riforma della legge sull’aborto. Il titolo del documento è molto chiaro: “Conclusioni della Sottocommissione sulla riforma della legge sull’interruzione volontaria della gravidanza nel quadro di una norma sui diritti e la salute sessuale e riproduttiva”.



Lo scorso mese di dicembre il governo ha presentato un Piano dei Diritti Umani in cui si parlava del diritto delle donne che abortivano alla riservatezza nei casi in cui era depenalizzato. Sono passati solo due mesi e già si parla dell’aborto (in realtà si utilizza l’espressione Interruzione Volontaria della Gravidanza, IVG) come di un diritto.



«Oggi – dice il testo approvato – la IVG deve essere analizzata anche alla luce del diritto delle donne a godere della sessualità e a decidere riguardo alla maternità; tale diritto si trova, inoltre, legato ai diritti e alle libertà riconosciuti dalla Costituzione».

Le raccomandazioni della Camera portano a una legge con presupposti e termini temporali che renderanno in pratica possibile un aborto libero. Il progetto che verrà presto approvato dall’Esecutivo raccoglierà letteralmente queste raccomandazioni.

Contrariamente a ciò che prevede la Costituzione cui ci si richiama e contrariamente alla giurisprudenza costituzionale raccolta nella sentenza 53/1985, l’aborto si trasforma in un diritto soggettivo che ha a che fare con la salute. «Non siamo – dice il testo – di fronte a un conflitto tra due diritti fondamentali; gli unici diritti fondamentali sono quelli delle donne».



La soggettivizzazione assoluta dei diritti, che già non riconosce alcun vincolo, tradizione o evidenza, sfocia nella cultura della morte. Ma non contento di questo, il gruppo socialista e i suoi soci del Governo raccomandano di «ricondurre la pratica dell’IVG al regime ordinario, in cui si riconosce alle minori la capacità di decidere autonomamente a partire dai 16 anni».

Permettere alle ragazze di 16 anni di abortire senza il consenso dei genitori significa che lo Stato espropria la paternità. Espropria i genitori e, soprattutto, le figlie, in un momento drammatico, di una relazione decisiva, imponendo la solitudine. È il vecchio sogno del potere: individui soli facilmente manipolabili.