Se l’Iraq è stato il principale fronte della guerra al terrorismo di George W. Bush, l’Afghanistan lo sarà per Obama. Il Centro Asia sarà cioè la partita militare, politica e diplomatica più delicata per la sicurezza globale e per quella dell’America. I presupposti erano già stati chiariti nel corso della lunga campagna elettorale: in Afghanistan, o meglio nella lunga area di confine con il Pakistan, si annida la cupola di Al Qaeda, si concentrano i principali campi di addestramento dei terroristi, si pianificano attentati in quella regione e in ogni angolo del pianeta.



Per questo motivo, l’America concentrerà soldi e truppe nella regione “AfPak”, riconoscendo una volta per tutte che non esiste una sicurezza separabile dalla stabilità politica. Lo ha chiarito Obama chiamando all’appello innanzitutto il vicino Pakistan, uno Stato atomico e sempre più sull’orlo del fallimento, a causa di infiltrazioni terroristiche e di connivenze tra il potente servizio segreto nazionale, l’ISI, e i Talebani.



L’America continuerà a finanziare l’alleato pachistano con un miliardo e mezzo di dollari l’anno in aiuti militari, ma si aspetta maggiore collaborazione da Islamabad nel dare la caccia a Osama Bin Laden e ai suoi accoliti. In Afghanistan, altri 4.200 militari si aggiungeranno presto ai 17.000 già promessi da Washington a febbraio. Avranno compiti soprattutto di addestramento e di polizia militare.

Fino a qui, quindi, gli elementi portanti della nuova strategia americana. Ma il sostanziale cambio di tono assunto da Obama nel parlare di guerra al terrorismo, nel sottolineare la necessità di una ricostruzione civile in Afghanistan, nel denunciare la crescente corruzione dei burocrati di quel Paese, che l’America combatterà quanto il terrorismo, mettono sul tavolo una visione complessiva imponente ma che ha il sapore dell’ultima chance. Così come con grande interesse è stata accolta la notizia della creazione di un nuovo Gruppo di contatto per l’AfPak, in seno all’Onu, e a cui prenderanno parte anche Cina, Russia e Iran, oltre alla Nato e ai Paesi del Golfo Persico.



L’obiettivo è evidentemente quello di promuovere un approccio che tenga conto degli interessi di tutti i Paesi coinvolti a diverso titolo nella stabilizzazione dell’Asia Centrale.

Obama sarà in questi giorni prima a Londra, per il G20, quindi in Francia e in Germania per le celebrazioni del sessantesimo anniversario della Nato. Uno strumento che torna ad essere particolarmente utile quale foro allargato di coordinamento e collaborazione. In quella circostanza, l’America chiederà aiuto ai suoi alleati europei, in termini di finanziamenti e di uomini.

La scadenza delle elezioni presidenziali a Kabul, ad agosto, dovrà rappresentare un momento di svolta per la vita di quel Paese. Karzai, il Presidente che qualcuno chiama “il sindaco di Kabul”, per la sua incapacità di garantire il controllo del territorio, si è affrettato a ringraziare Obama per il rilancio dell’iniziativa globale e a garantire il pieno supporto alla strategia Usa. Ma, al momento decisivo, conterà molto di più la relativa debolezza di un Presidente sgradito alle principali tribù del Paese, incapace di arrestare il flusso dell’oppio di cui vive la rete terroristica, passivo rispetto alle turbolenze cui è sottoposto il vicino Pakistan.