Uno degli effeti più confortanti delle elezioni in Galizia e nei Paesi Baschi è la constatazione del trionfo della società civile sull’estabilishment politico e mediatico. Dopo questi risultati, Zapatero ha davanti a sé un dilemma: andare avanti come se nulla fosse o interpretare il messaggio delle urne, che suggerisce un cambiamento. Il primo test è nei Paesi Baschi, dove un accordo del Pse con il Pp significherebbe che il Presidente ha ben colto il richiamo della maggioranza degli elettori.
È successo così in Galizia, dove, per esempio, la raccolta di 100.000 firme dei genitori che chiedevano la libertà di scegliere la lingua nell’educazione dei propri figli ha fatto sì che il Psoe cambiasse rapidamente il discorso ufficiale pochi giorni prima dei comizi. Ma era già tardi, come ha dimostrato il risultato.
Un risultato in cui hanno anche pesato le manifestazioni contro l’imposizione del galiziano e la mobilitazione contro gli scandali dello spreco dell’esecutivo regionale e in cui soprattutto ha vinto la necessità di confidare in un’autorità politica che si decidesse ad affrontare frontalmente la crisi, che nel tessuto industriale galiziano è particolarmente virulenta.
Anche nei Paesi Baschi hanno fatto più le preoccupazioni per la crisi e il desiderio di cambiamenti dei cittadini rispetto a tutto l’apparato di propaganda di uno Stato che durante tre decadi ha esercitato un’egemonia che ora vede disfarsi. Neppure la potente campagna di persecuzione giuridica e mediatica ordita da Garzón, dal gruppo Prisa e dal Governo socialista contro il Pp è stata sufficiente in questa occasione per influire sul risultato elettorale.
Quello che si può dedurre da tutto ciò è che la maggioranza degli elettori sembra scottata e non vuole più essere ingannata facilmente. Vuole politici che la aiutino a risolvere i suoi principali problemi, che sono in primo luogo l’aumento della disoccupazione e la crisi economica. Questa maggioranza ha anche chiesto nelle urne la libertà di educazione e lo stop alle imposizioni ideologico-linguistiche e della spesa clientelare dei nazionalismi, a cui il modello di Zapatero ha dato tanto spazio.
La troppa inattività dei poteri pubblici di fronte alla crisi si è potuta toccare per la prima volta in una puntata del programma televisivo Tengo una pregunta para usted che ha avuto come protagonista il Presidente Zapatero. Lì la critica più ripetuta è stata la sua ignoranza della crisi precedente alle elezioni nazionali e la sua successiva passività.
Il collasso economico
La scorsa settimana sono stati resi noti nuovi dati economici che danno l’idea della gravità della situazione: la disoccupazione è arrivata a tre milioni e mezzo di unità e la Seguridad Social (il sistema di previdenza sociale) ha perso 70.000 affiliati a febbraio. Ma le previsioni sul futuro immediato sono ancora peggiori. Il BBVA (il Banco di Bilbao) stima che il Pil scenderà del 2,8% nel 2009 ed esperti come José Barea dicono che alla fine dell’anno avremo 4,5 milioni di disoccupati e un deficit dell’8,5%.
In questa situazione, la cosa più allarmante è vedere un Governo in stato confusionale, che ha speso tutte le sue cartucce in alcune misure che si perdono come gocce in mezzo il mare. I 300.000 posti di lavoro che ha promesso con il Plan E equivalgono ai nuovi disoccupati che ci saranno in due mesi e gli aiuti alla banche non arriveranno alle famiglie e alle Pmi, e anche se arrivassero non risolverebbero il principale problema che è la caduta a picco dell’attività. Ed è anche allarmante il fatto che in queste circostanze permanga l’abisso aperto tra i due partiti nazionali e che sia finito il dialogo tra imprenditori, Governo e sindacati.
In queste condizioni, le lotte immaginarie dello zapaterismo non hanno più presa sull’opinione pubblica. Non c’è più guerra in Iraq, memoria storica, tregua con l’Eta o laicismo che riesca a passare in primo piano tra le preoccupazioni degli spagnoli. Sono finiti i fuochi artificiali e il modello di Zapatero non è capace di frenare il declino dei nazionalismi su cui ha puntato nell’ultimo lustro.
Un nuovo ciclo
Cosa farà Zapatero davanti a questo nuovo ciclo? Rinuncerà allo zapaterismo così come lo abbiamo conosciuto finora? Lo reinventerà? Di fatto, l’ideologia utopistica che ha dominato la gestione dei suoi primi anni al Governo ha già cominciato a ripiegare a passi da gigante nelle politiche di lotta al terrorismo, difesa, immigrazione e ambiente.
Il leader dell’esecutivo ha davanti a sé un dilemma: andare avanti come se nulla fosse o interpretare il messaggio delle urne, che suggerisce un cambiamento. Nel caso scelga di andare avanti, il partito di Rajoy deve lavorare per canalizzare bene questa richiesta di cambiamento.