Si è aperta ieri a Gine­vra la Confe­renza delle Nazioni Unite sul razzismo. Gli auspici non sono stati dei migliori fin dall’inizio: gli oc­cidentali sono arrivati a questo appuntamento divisi, alcuni paesi hanno garantito la presenza, altri hanno preferito defilarsi. Stati Uniti, Israele, Canada, Australia e Ita­lia hanno confermato la loro ferma decisione a non partecipare. Anche Olanda e Germania all’ultimo momento hanno preferito non prendervi parte. La ragione è semplice: non c’erano garanzie sufficienti affinché nel corso della Conferenza si evitasse uno sterile atto di accusa contro Israele e contro l’Occiden­te.



I lavori preparatori sono stati dominati dai Paesi islamici, come già accadde nella precedente conferen­za di Durban nel 2001. La Gran Bre­tagna e la Francia, invece, hanno scelto di essere pre­senti anche se poi, dopo le frasi inaccettabili del presidente iraniano Ahmadinejad, hanno lasciato la conferenza già disertata da molti Paesi europei e non.



A suscitare la dura protesta di Israele è stato proprio il leader iraniano, arrivato a Ginevra e accolto con tutti gli onori dalle massime autorità elveti­che e che è stato fra i primi a pren­dere la parola nella tribu­na che l’Onu ha messo a disposizio­ne.

Desta non poche preoccupazioni il fatto che ad una Conferenza sul razzismo, che dovreb­be essere espressione dell’impegno delle Nazioni Unite in difesa dei diritti umani, possa impunemen­te prendere la parola chi ritiene la Shoah un’invenzione e chi presiede un regime che ha al proprio attivo l’assassinio di centinaia di oppositori politici.



Tra le tante parole non spese all’interno della conferenza figura nel discorso di Ban Ki-moon la totale assenza di alcun riferimento alle persecuzioni che nel mondo avvengono contro le comunità cristiane. Ha parlato di tolleranza e mutuo rispetto, ha denunciato che una nuova politica xenofoba è in aumento e che la discriminazione non sparisce da sola che deve essere affrontata altrimenti può diventare causa di disordini e violenze sociali, ma non si è mai riferito alle comunità religiose che nel mondo sono oppresse.

Almeno inizialmente l’Europa si è spaccata sulla partecipazione alla conferenza che i Paesi islamici hanno trasformato in un processo a distanza a Israele. Timori peraltro confermati già dalla vigilia quando il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad ha subito ribadito la sua ostilità verso lo Stato ebraico, definito «portabandiera del razzismo».

Anche il ministro degli Esteri italiano Franco Frattini ha sottolineato come il mancato raggiungimento di una posizione comune dell’Unione europea sulla conferenza Onu sul razzismo sia «un errore gravissimo» che «denota l’incapacità, nonostante le tante parole spese a riguardo, di trovare almeno un minimo comune denominatore su un problema di base» come è il razzismo. Sono espressioni che denotano l’amarezza per il mancato accordo in sede Ue, perché di fatto si dimostra una volta di più che l’Europa non è capace di parlare a una sola voce. Per l’Europa è stata un’occasione persa per mostrare con spirito unanime la sua ostilità verso gli osteggiatori della democrazia e della libertà. Bene hanno fatto dunque a lasciare la sala in segno di protesta dopo le dichiarazioni del presidente iraniano, ma meglio ha fatto l’Italia che ha scelto di rimanere fuori dal summit perché ritiene che le frasi di chi equipara Israele a un Paese razzista siano odiose e inaccettabili.