Le notizie che arrivano da Ginevra confermano le previsioni: domenica sera Ahmadinejad, ospite del presidente svizzero Hans Rudolf Merz, ha detto che Israele è «la più orribile manifestazione del razzismo», e ieri in assemblea ha rincarato la dose, nuovamente accusando di razzismo il governo israeliano. Immediate le reazioni. I delegati dell’Ue, alle parole del presidente iraniano, hanno lasciato la conferenza. Una strumentalizzazione, secondo Emanuele Parsi, docente di relazioni internazionali all’Università cattolica di Milano e editorialista, ampiamente prevedibile.



Professore, sono i diritti umani ad essere oggetto di strumentalizzazione politica, oppure è una istituzione internazionale come l’Onu ad accusare un deficit di autorevolezza?

Sono due problemi distinti. Ma si toccano nel momento in cui teniamo presente che i diritti umani hanno un connaturato contenuto politico. La genialità dello spirito occidentale è stata di trasformare dei bisogni umani universali in diritti, dando veste giuridica e di principio a esigenze comuni a tutti gli esseri umani. Non dimentichiamo però che sono un costrutto valoriale e politico occidentale. Dire costrutto politico non significa sminuirne l’assoluta importanza, ma essere consapevoli che nel momento in cui altre culture – ed altri interpreti – si affacciano sul sistema internazionale, rivendicano o il diritto di contestare la natura politica di questi diritti, o di interpretarne in maniera radicalmente diversa il contenuto e soprattutto l’applicazione.



Come la conferenza di Durban II sta puntualmente dimostrando…

Sì. D’altra parte – per venire al problema Onu – c’è contemporaneamente una difficoltà delle Nazioni Unite legata alle emanazioni dell’assemblea. Va ricordato che questa conferenza è un’emanazione dell’assemblea, in cui ogni Stato è rappresentato per un voto. Esse risentono fortemente di maggioranze variabili, spesso tenute insieme solo da un’avversione nei confronti dell’egemonia culturale dell’Occidente, vera o presunta che sia. Presentando grandi rischi di strumentalizzazione.

L’Ue non ha trovato una linea comune prima del vertice, perché Francia e Gran Bretagna partecipano, mentre Germania, Italia e Olanda hanno rinunciato.



C’è una divisione non risolta che attraversa l’Occidente in senso ampio, e anche l’Ue, sull’opportunità politica di partecipare. La Francia aveva detto che qualora ci fossero in sede di conferenza dichiarazioni inaccettabili a quel punto se ne sarebbe andata: mi sembra che questo voglia dire posticipare il problema, mettendosi in una posizione più difficile, anziché risolverlo alla radice.

Risolvere il problema alla radice invece cosa comporta?

Penso che sia sbagliato andare, perché ci si presta all’azione di personaggi come Ahmadinejad, legittimando con la propria presenza le loro affermazioni. Naturalmente dagli Usa a Israele al Canada tutti concordano sul principio dell’importanza dei diritti umani e della condanna del razzismo, ma le decisioni hanno implicazioni politiche che occorre valutare con attenzione. La scelta di esserci o non esserci diviene politicamente decisiva e penso che l’Italia, decidendo di starsene fuori, abbia dato prova di saggezza.

Non partecipare è l’unico modo per sottrarsi all’uso propagandistico e strumentale della conferenza?

Il punto è che si va ad una conferenza in cui le posizioni sono controverse se si ritiene che sarà un serio foro di discussione sul tema o che sarà principalmente questo. Chi non è andato lo ha fatto perché ha ritenuto che sarebbe stata strumentalizzata. Ma c’è un elemento discriminante che avrebbe dovuto far pensare, rendendo la scelta più semplice.

Quale?

Durban I è stata un disastro in termini di virulenza anti israeliana, antioccidentale, anticapitalista e antiliberale. Visto quel precedente ho parecchi dubbi che Durban II possa andare diversamente. Diciamo che non è cominciata bene. I principi naturalmente sono saldi, come dicevo. Sulle valutazioni politiche ognuno ha il diritto di dare il suo giudizio. Gli Stati Uniti, che hanno un presidente nero, non sono andati. Non credo che questo renda gli Usa meno ostili al razzismo.

Nei confronti di governi che strumentalizzano il problema dei diritti umani a suo avviso un’iniziativa del Consiglio di sicurezza, le cui risoluzioni sono cogenti, sarebbe più efficace?

Aspettarsi l’avanzamento di una cultura condivisa nella lotta al razzismo o di impegni cogenti a favore dei diritti umani dalle Nazioni Unite, sia che si tratti dell’assemblea generale sia che si tratti del Consiglio di sicurezza, mi sembra un’utopia. Ecco perché credo che queste assemblee siano non solo inutili ma controproducenti.