Se l’Iraq è stato il principale fronte della guerra al terrorismo di George W. Bush, l’Afghanistan lo sarà per Obama. Il Centro Asia sarà cioè la partita militare, politica e diplomatica più delicata per la sicurezza globale e per quella dell’America. I presupposti erano già stati chiariti nel corso della lunga campagna elettorale: in Afghanistan, o meglio nella lunga area di confine con il Pakistan, si annida la cupola di al-Qaeda, si concentrano i principali campi di addestramento dei terroristi, si pianificano attentati in quella regione e in ogni angolo del pianeta.
Per questo motivo, l’America ha già concentrato soldi e truppe nella regione “AfPak”, riconoscendo una volta per tutte che non esiste una sicurezza separabile dalla stabilità politica. Lo ha chiarito Obama chiamando all’appello innanzitutto il vicino Pakistan, uno Stato atomico e sempre più sull’orlo del fallimento, a causa di infiltrazioni terroristiche e di connivenze tra il potente servizio segreto nazionale, l’ISI, e i Talebani. Ma anche serrando i ranghi della cooperazione con l’Afghanistan, che si avvia a una delicata tornata elettorale e la cui sicurezza è ormai deteriorata.
Gli Usa si sono sostituiti sia alle forze afghane sia alla coalizione internazionale, che ormai è ridotta al rango di poliziotto, soprattutto nelle aree meno esposte alla minaccia del ritorno dei Talebani. I recenti bombardamenti americani al confine con il Pakistan hanno fatto 150 morti tra le popolazioni civili. E la drammatica contabilità è destinata a salire nelle prossime settimane, visto l’arrivo della buona stagione che consente proiezioni militari più durature.
L’America continuerà a finanziare l’alleato pachistano con un miliardo e mezzo di dollari l’anno in aiuti militari, ma si aspetta maggiore collaborazione da Islamabad nel dare la caccia a Osama Bin Laden e ai suoi accoliti. Purtroppo, il nodo gordiano è rappresentato dalla tipica “doppiezza” del regime pachistano nell’ultimo decennio. Il nuovo Presidente Asif Ali Zardari ha, infatti, prima concesso l’introduzione della sharia nella valle di Swat, nel nord-ovest del Paese, dove ormai i Talebani avevano assunto il controllo totale del territorio, salvo poi lanciare, la settimana scorsa, la più massiccia operazione militare mai vista negli ultimi anni, che ha fatto un milione di sfollati. I combattenti islamici, infatti, si erano spinti a conquistare la provincia a Buner, arrivando praticamente a 90 chilometri dalla capitale Islamabad. A un passo, cioè, dalla bomba atomica.
Fino a qui, quindi, gli elementi portanti della nuova strategia americana. Ma il sostanziale cambio di tono assunto da Obama nel parlare di guerra al terrorismo, nel sottolineare la necessità di una ricostruzione civile in Afghanistan, nel denunciare la crescente corruzione dei burocrati di quel Paese, che l’America combatterà quanto il terrorismo, mettono sul tavolo una visione complessiva imponente ma che ha il sapore dell’ultima chance. Così come con grande interesse è stata accolta la notizia della creazione di un nuovo Gruppo di contatto per l’AfPak, in seno all’Onu, e a cui prenderanno parte anche Cina, Russia e Iran, oltre alla Nato e ai Paesi del Golfo Persico.
L’obiettivo è evidentemente quello di promuovere un approccio che tenga conto degli interessi di tutti i Paesi coinvolti a diverso titolo nella stabilizzazione dell’Asia Centrale.
La scadenza delle elezioni presidenziali a Kabul, ad agosto, dovrà rappresentare un momento di svolta per la vita di quel Paese. Karzai, il Presidente che qualcuno chiama “il sindaco di Kabul”, per la sua incapacità di garantire il controllo del territorio, si è affrettato a ringraziare Obama per il rilancio dell’iniziativa globale e a garantire il pieno supporto alla strategia Usa. Ma, al momento decisivo, conterà molto di più la relativa debolezza di un Presidente sgradito alle principali tribù del Paese, incapace di arrestare il flusso dell’oppio di cui vive la rete terroristica, passivo rispetto alle turbolenze cui è sottoposto il vicino Pakistan.
Intanto, a dimostrazione del fatto che l’Afghanistan sarà la guerra di Obama, come l’Iraq è stato la guerra di Bush, nel 2010, per la prima volta, gli stanziamenti per le operazioni belliche in Centro Asia supereranno quelli per il Medio Oriente: 65 miliardi di dollari in Afghanistan, a fronte di 61 per l’Iraq secondo il nuovo budget del Pentagono. Lo scorso anno, per il bilancio del 2009, la Casa Bianca aveva chiesto 87 miliardi e l’Iraq e 47 per l’Afghanistan.