Con le debite proporzioni, lo scandalo per i rimborsi gonfiati – e in molti caso inventati – dei politici britannici rappresenta la versione d’Oltremanica di Tangentopoli. Se possibile, in peggio.

Per leggere al meglio la portata della crisi e prendere debitamente la temperatura al polso dell’uomo della strada, infatti, bisogna rifarsi alla rigida morale cromwelliana del Parlamento inglese: nessuno qui ha comprato voti in cambio di soldi o favori, non c’è un sistema malato di finanziamento illecito, non ci sono figli e figliastri ma c’è qualcosa di umanamente più misero: ovvero, politici che guadagnano oltre 65mila sterline l’anno che chiedono il rimborso non tanto e non solo per i lavori di ristrutturazione della seconda casa, ma per un pacchetto di cioccolatini da 65 pence.



È questo che fa indignare la gente, che monta la voglia di vendetta attraverso l’astensionismo – già cronico Oltremanica – alle prossime elezioni europee e amministrative del 4 giugno, che fa bollire le platee dei talk show politici, che – come accade a Scunthorpe – vede i cittadini passare in macchina di fronte all’elegante cottage del deputato laburista eletto in quel collegio e fare a gara per chi riesce a gridare il maggior numero di improperi.



I numeri dell’ultimo sondaggio pubblicato in Gran Bretagna non lasciano scampo: per il 64% degli interpellati i politici hanno meno integrità dopo questo scandalo e sempre per il 64% coloro i quali sono stati colti con le mani nel sacco non devono essere candidati ma bensì banditi dalla vita pubblica. I Conservatori hanno perso 6 punti percentuali, il Labour 4 mentre i LibDem ne hanno guadagnato 1: più 9 punti percentuali invece per i partiti minori, con l’Ukip al 6% e il British National Party al 4%.

La Regina stessa, nel suo incontro settimanale con Gordon Brown, si è detta tremendamente preoccupata per quanto sta accadendo e ha chiesto al primo ministro di agire con la massima severità e rapidità. E proprio la presenza della monarchia, in questo momento, rappresenta il discrimine tra la Tangentopoli mai chiusa dell’Italia e quella un po’ provinciale che sta squassando il panorama politico britannico.



Secondo il padre nobile dell’Economist, Walter Bagehot, l’elemento specifico del sistema di governo, o, più precisamente, della Costituzione inglese, è proprio l’esistenza di dignified parts, di parti nobili, e di efficient parts, efficaci o, meglio, operative. Le parti nobili della Costituzione – la monarchia e la Camera dei Lords – servono prevalentemente a guadagnare la deferenza del popolo, mentre le parti operative – il gabinetto e la Camera dei Comuni – svolgono realmente il lavoro di governo.

L’equilibrio del sistema politico inglese è assicurato, in altri termini, da una manipolazione dell’immaginario collettivo che riesce a garantire il consenso della società inglese verso la classe dirigente del paese. Questo lavoro di intercettazione del consenso della nazione è svolto in larga misura dalla monarchia. «Il ruolo della regina – scrive Bagehot ne “La costituzione inglese”-, dal punto di vista simbolico, è di importanza incalcolabile. Senza la sua presenza l’attuale sistema di governo inglese avrebbe vita difficile e finirebbe per crollare».

Mai come oggi queste parole, che sembrano scritte poche ore fa, sono vere. E questo silenzioso ruolo di reggenza e gestione si riverbera anche nell’atteggiamento responsabile, anzi civilmente alto e dignitoso, che sta tenendo in queste ora il Daily Telegraph, ovvero proprio il quotidiano che ha fatto esplodere lo scandalo guadagnando notorietà e rispetto per il proprio esempio di giornalismo investigativo. Nel commento principale dell’edizione di sabato, infatti, Charles Moore invitava a chiare lettere la gente a reclamare il proprio Parlamento e non a distruggerlo visto che «Westminster è nostro e chi ha l’onore di sederci lo fa su nostro mandato».

Insomma, non si getta il bambino con l’acqua sporca: la democrazia parlamentare britannica non è rappresentabile con quelle note spese infantilmente gonfiate ma con secoli di storia, di efficienza, di servizio del Paese. Per conto e su mandato del popolo. Oltre, ovviamente, che di Sua Maestà, il vero capo del governo, l’istituzione che conferisce al primo ministro il mandato per operare in suo nome. Ed Elisabetta II non può accettare che chi governa in suo nome faccia pagare ai contribuenti anche un busta di plastica dell’Ikea da 5 pence, come ha fatto un deputato scozzese.

Richiamando tutti al senso di responsabilità e al rispetto delle istituzione, Charles Moore citava l’altro giorno le parole di Edmund Burke nel descrivere la Rivoluzione francese: «La rabbia può abbattere in mezz’ora più di quanto si possa costruire in cent’anni di prudenza e buon senso». Per questo il ruolo della monarchia, in questi giorni turbolenti, è così importante.

Tanto che, lo dicono due sondaggi in mano al Labour e ai Tories ma tenuti debitamente sotto chiave, ora la Regina è l’unica istituzione in cui i britannici si riconoscono. Tanto che da più parti si comincia ad auspicare un governo di unità nazionale come quello che vide luce nel 1931 sotto Giorgio V durante la crisi della Grande Depressione e quella per la creazione del Libero Stato d’Irlanda a seguito della Partition. Insomma, gli inglesi si riconoscono quasi esclusivamente nella monarchia. Anzi, nella loro Regina così algida e severa ma anche capace come nessuno di capire quando il popolo ha bisogno di essere rincuorato e guidato.

Come appare lontano quel 1997 quando la morte improvvisa di Lady Diana sembrò cancellare oltre a un sogno popolare anche l’affetto della gente per questa antica ma quanto mai moderna e fondamentale istituzione. Grazie alla quale, la democrazia britannica uscirà più sana di prima dalla sua Tangentopoli. Scriveva sempre Walter Bagehot: «In un regime di democrazia parlamentare come il nostro il sovrano ha tre diritti: quello di essere consultato, quello di incoraggiare e quello di mettere in guardia. E nessun sovrano con buonsenso ne vorrebbe altri». Elisabetta II lo sa e si limita ad esercitare questi tre, offrendo al suo paese il più alto esempio possibile di dedizione e servizio.