Fini, D’Alema, Pisanu sono nello studio della terza carica dello Stato a Montecitorio e aspettano l’arrivo di Gheddafi. I minuti passano e il presidente della Camera è sempre più spazientito. Sa che il protocollo tutto personale del Colonnello “non assomiglia ai protocolli occidentali” dove gli orari sono rispettati al secondo. Ma due ore sono davvero troppe. D’Alema cerca di rallentare il momento dello strappo finale, pur condividendone le ragioni. Nella stanza di Fini, raccontano, più volte si raccomanda di avvertire della situazione, passo passo, Giorgio Napolitano: “Dobbiamo concordare tutto con il capo dello Stato. Per non creare un problema istituzionale”. Non è un modo per prendere tempo. I tre discutono, cercano di saperne di più. Poi, Fini decide in base alle ragioni di opportunità e in funzione del suo ruolo, diverso da quello di D’Alema e Pisanu. E l’applauso liberatorio degli invitati al convegno, quando viene annunciato lo stop, dice che la pazienza ha un limite anche nei confronti di Gheddafi. “Ho difeso il Parlamento, l’Italia e gli italiani”, spiega Fini ai suoi interlocutori. Ormai il caso è chiuso e il convegno annullato. Il presidente della Fondazione Italianieuropei prova ancora a “salvare” diplomaticamente il leader libico: “Ci ha fatto sapere che non sta bene”. Ma più tardi, dopo il colloquio sotto la tenda a Villa Pamphili, dove arriva con Beppe Pisanu della fondazione Medidea, co-organizzatrice dell’evento, D’Alema ammetterà: “Stava benone”. E Pisanu: “Gheddafi s’è scusato, a quel punto abbiamo parlato di politica internazionale per circa un’ora”. Le telefonate di Fini a Berlusconi e Napolitano arrivano, sì, ma quando la decisione di non aspettare oltre è già presa. “Ho scelto da solo”, ripete il presidente della Camera, mettendo al riparo premier e capo dello Stato da responsabilità solo sue. Il Cavaliere al telefono esprime però tutta la sua “comprensione”. Si informa: “Ma perché, sta male?”. Poi anche lui allarga le braccia: “Quello di Fini è un gesto dovuto”. Ma a tarda sera il premier raggiunge anche lui sotto la tenda il Colonnello, rientrato a Villa Pamphili dopo la cena a piazza del Popolo, per un faccia a faccia. Napolitano viene raggiunto per una chiamata brevissima tra una sessione e l’altra del vertice dei capi di Stato “Uniti per l’Europa” a Napoli. I due concordano di sentirsi più tardi, per un colloquio più approfondito. A Fini non mancano i riconoscimenti per una decisione sacrosanta, dicono alcuni. Lo chiama il ministro degli Esteri Franco Frattini: “Hai fatto bene”. “La sua decisione è ineccepibile”, sentenzia D’Alema. Nessuno ha capito la vera motivazione del clamoroso ritardo. Gheddafi non ha avuto modo di leggere in anteprima il testo del discorso di Fini, che conteneva una risposta netta alle accuse contro l’America. Dunque, non può essersi adirato preventivamente. Alla fine, l’unica ragione plausibile è la consolidata abitudine di seguire un protocollo tutto suo, che in Libia prevede misteriose e snervanti attese anche di due-tre notti per gli ospiti che hanno un appuntamento con lui. Per un momento si è temuto che Gheddafi potesse “levare la tenda” già ieri notte, partire di corsa e in questo senso la visita volante di D’Alema e Pisanu può aver addomesticato un caso ancora più spinoso. Comunque l’ex ministro degli Esteri democratico non ha rinunciato a dire in privato quello che aveva preparato per il convegno, ossia che gli Stati uniti di Obama non meritano la storica diffidenza araba. E il discorso di Fini è stato consegnato alla stampa, agli invitati, è ormai pubblico. Anche disertando Montecitorio, Gheddafi non è sfuggito alle parole del presidente della Camera. E al suo gesto.
(repubblica)