Una visita istituzionale, un momento di consueta diplomazia, quasi dovuto alla vigilia di un evento cruciale come il G8, sotto la presidenza italiana. Ma c’erano alcune nubi che avevano preceduto l’importante incontro tra Obama e Berlusconi: dubbi sullo stato dei rapporti tra le due amministrazioni, che il premier italiano aveva l’obbligo di sciogliere. E, come spiega Paolo Valentino, corrispondente da Washington per il Corriere della Sera, l’esito dell’incontro è stato più che positivo: Berlusconi ha convinto Obama su due punti cruciali, come l’impegno in Afghanistan e la lotta al riscaldamento globale.



Quali cambiamenti ha portato l’incontro tra Berlusconi e Obama nei rapporti tra l’Italia e la nuova amministrazione Usa?

I rapporti dell’Italia con gli Stati Uniti non sono mai mutati, e permangono al di là di chi ci sia alla Casa Bianca e di chi sia il presidente del Consiglio in Italia. Il problema era vedere quanto alcuni aspetti personali di Berlusconi, legati non tanto alle vicende private e alle polemiche su Noemi e cose simili, quanto ad alcuni aspetti legati alla politica estera del nostro Paese avessero inciso su questi rapporti. L’Italia, infatti, pur collocandosi nel solco indicato da Obama, che parla di apertura e di dialogo con i paesi islamici, manifestava però qualche eccesso di attivismo. Si veda ad esempio il rapporto con la Russia, dove Berlusconi si era addirittura posto come mediatore, oppure l’Iran, nei confronti del quale l’Italia aveva dimostrato un’apertura assoluta.



Proprio in relazione a questi elementi così delicati, come giudica l’esito della visita?

Sotto tutti questi punti di vista la visita è andata bene. Da parte americana c’è stata la proposizione di queste perplessità; da parte italiana ci sono state rassicurazioni e garanzie. Obama ha addirittura concesso a Berlusconi, nelle sue dichiarazioni, una sorta di primogenitura nei rapporti con Mosca, dicendo di aver ascoltato con attenzione le sue idee sulla Russia, essendo Berlusconi amico di Putin, e di averne fatto tesoro in vista della sua prossima visita a Mosca.

Quindi Obama si è anche un po’ sbilanciato nell’esprimere questo apprezzamento?



Diciamo che questa è un’amministrazione che non concede molto alle “pacche sulle spalle”: Obama è sobrio, carismatico. Nell’incontro con Berlusconi invece è andato un po’ fuori da quello che è il suo normale schema di comportamento, usando parole e gesti confidenziali. Obama, normalmente, non è un uomo che conceda molto ai gesti da “compagnone” come faceva Bush.

Che importanza ha per Obama il rapporto con l’Italia?

È un rapporto importante, ma naturalmente l’amministrazione americana ha ben altre priorità. Ieri, ad esempio, c’era la visita del presidente sud-coreano, che ha avuto ben altro andamento, e che si è conclusa con la conferenza stampa congiunta dei due presidenti. Non perché l’amministrazione voglia tenere a distanza l’Italia, ma perché rispetto all’importanza dei temi nell’agenda internazionale, la gravità del problema in Corea fa sì che il governo sud-coreano sia in cima alle preoccupazione di Obama. C’è la questione nucleare, c’è la transizione, ci sono le minacce di guerra, magari esagerate, ma che mettono in allarme. L’Italia non è in cima ai pensieri di Obama.

Berlusconi com’è ovvio ha puntato molto su questa visita, anticipando addirittura il giorno precedente l’annuncio sull’invio di maggiori truppe in Afghanistan: è solo per l’ovvia importanza che ha il rapporto con gli Usa, o il premier aveva qualche preoccupazione in più, legata all’origine degli attacchi ricevuto nell’ultimo periodo?

Non saprei dire se ci sia stato proprio questo motivo. Preparare bene la visita negli Stati Uniti è una cosa normale, non solo per l’Italia, e non solo in certe situazioni. La questione dell’Afghanistan d’altronde è importantissima: l’amministrazione americana preme da mesi gli alleati europei perché facciano di più su questo fronte. L’Italia ha dimostrato il suo impegno, e questa è stata una cosa molto positiva, a prescindere da altre motivazioni. È stata una risposta precisa a una richiesta precisa, da parte di un’amministrazione che ha fatto dell’Afghanistan il fronte privilegiato della lotta al terrorismo. I 500 o 600 militari in più, le nuove regole sui caveat non più rigidi come prima per la partecipazione ad azioni militari erano concessioni giuste. Bisognava darle a questa amministrazione proprio in virtù del fatto che è un’amministrazione che dà anche maggiore parità di rapporto. Al di là di motivazioni ulteriori che possono averle generate, queste scelte da parte dell’Italia sono da lodare, e sono state sicuramente apprezzate oltreoceano.

Un altro elemento di incertezza alla vigilia della visita è stata anche l’accoglienza che l’Italia ha riservato a Gheddafi. Com’è stata vissuta in America questa vicenda?

La Libia qualche anno fa ha fatto passi avanti notevoli nei rapporti con gli Usa, ad esempio avendo ammesso le proprie responsabilità nell’attentato di Lockerbie, accettando di rimborsare i parenti delle vittime. Quindi il rapporto con la Libia è stato ricostruito da parte americana, e l’Italia si muove nel solco tracciato dalla politica statunitense. L’obiezione che veniva fatta qui è che una cosa è ospitare Gheddafi, una cosa è fargli una parata per quattro giorni a Roma, offrendogli anche particolari tribune. Ma qui negli Usa c’è stata solo qualche alzata di sopracciglio, e la cosa non ha inciso sul colloquio tra Obama e Berlusconi.

Quindi possiamo dire che ci sono rapporti solidi tra i due.

Diciamo che si è conclusa bene una visita che non era più che una visita istituzionale, dal momento che è da anni che il presidente di turno del G8, alla vigilia dell’incontro, viene ricevuto in tutte le grandi capitali dei paesi partecipanti, in primis gli Usa. Oltre a questo, bisogna però anche aggiungere che l’amministrazione Obama ha valutato molto positivamente il fatto che l’Italia abbia messo al primo punto nell’ordine del giorno del G8 la questione del riscaldamento globale, tema cui il nuovo presidente tiene molto e su cui vorrà intervenire in modo incisivo nel prossimo futuro.